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n. 1 / 1 luglio 2012

Il potere femminile e il postfemminismo

Dilina Beshiri
Professore di pedagogia
Università “A. Moisiu” Durrës

Edi Puka
Professore di pedagogia
Università Europea di Tirana


Prima del XX secolo l’identità sessuale era determinata esclusivamente dall’apparenza fisica dei genitali. Tuttavia, la vicenda tra i sessi per quanto varia e vivace, è una vicenda di culture, di saperi, di vita e anche di potere. Nell’accezione delle scienze della formazione l’identità dell’uomo e della donna si articola però non solo cronologicamente lungo l’intero corso della vita, ma soprattutto nella pluralità dei suoi contesti semantici.
Nel corso degli  anni le donne sono state protagoniste di un cambiamento sostanziale del loro status identitario sociale e personale. Esemplificativa in questo senso è l'affermazione del pensiero narrativo femminile, come recupero di un’identità tutt’altro che astratta ed irreale, ma è ancora difficile tradurre in realtà sociale l’esperienza, il sapere, il valore di quello che chiamiamo “essere donne”.

Icone del potere femminile nel mondo classico e medievale
Per tentare di comprendere l'evoluzione della figura femminile in modo intrecciato al ruolo delle donne, occorrerebbe innanzitutto guardare alla condizione femminile nel passato, a partire dalla  preistoria, agli albori della civiltà umana, al fine di cogliere il passaggio dalla società patriarcale e tradizionale, a quella recentemente che possiamo definire “femminista”, fino a quella complessa dei nostri giorni, definita “post femminista”, che si caratterizza anch’essa, tuttavia, come periodo di transizione, poiché si intravvede l’alba di una “society gender” in un contesto culturale ancora tutto da costruire.
Nel contesto di un’indagine sulla rappresentazione della soggettività femminile intrecciata al tema del potere, potremmo qui presentare, come esempio, due icone presenti nella tradizione classica e medievale, che possono rappresentare l'immagine archetipica del femminile, quale depositaria di forza e potere. Nella Grecia antica, le Divinità del femminile ci appaiono come una sintesi tra  la sessualità femminile riferita a quella che potremmo definire “l'antica saggezza delle culture”, e le più moderne  conoscenze scientifiche classiche. Sintesi che finisce per creare una visione completamente diversa dell’espressione sessuale femminile. Queste conoscenze, tuttavia, non cambiano solo l’immagine esterna della donna, ma anche la percezione che le donne hanno di se stesse, e finiscono per fornire una nuova forma di relazione tra le persone e le comunità del primo millennio prima di Cristo. Ad esempio, Aphrodite viene rappresentata nella mitografia greca come la dea dell’amore, della bellezza e del piacere e a causa proprio della sua bellezza, viene considerata causa di conflitto tra gli uomini. A tal punto che quando Zeus decise di darla in sposa la scelta ricadde su Efeso, proprio perché non era considerato potenzialmente capace di scatenare guerre che attentassero all’equilibrio dell’Olimpo.



Aphrodite, Dea dell'amore e della bellezza

Un’ampia testimonianza del potere femminile è presentata anche dai poemi omerici, specchio della civiltà greca nel periodo vicino alla  fine della civiltà micenea, nell’VIII secolo. Dalla lettura dell’Iliade e dell’Odissea si possono comprendere  quali fossero  le caratteristiche femminili che i greci consideravano fondamentali: in primo luogo la bellezza, capace di avvicinare  la donna  alle divinità.
Facendo un salto dall'antichità all'alto medioevo europeo, una figura femminile di potere particolarmente interessante è quella di  Eleonora d'Aquitania (Bordeaux, 1122 – Fontevrault, 1 aprile 1204, che nel corso della sua vita riuscì a diventare  una delle donne più ricche e più potenti d'Europa.  Aveva  ereditato il ducato d’Aquitania e Poitiers, dopo la morte del padre, quando aveva solo 15 anni. Come risultato, Eleonora divenne una sovrana indipendente, facendo dell'Aquitania la provincia più grande e più ricca della Francia nel corso del XII secolo. A differenza di molti altri monarchi del Medioevo, Eleonora e la sua famiglia avevano ricevuto un'ottima educazione, tanto che uno dei meriti che le furono universalmente riconosciuti, fu quello di aver fatto del territorio da lei controllato, un centro culturale e artistico di altissimo livello.



Il dritto dell’emblema di Eleonora, in cui viene identificata come Eleonora, per grazia di Dio, Regina degli inglesi, duchessa dei Normanni. La leggenda del rovescio la chiama Eleonora, duchessa degli Aquitani e contessa degli Angioini.

Tanto forte fu l'impatto dell'azione politica di Eleonora, che, come in molti altri casi riferibili però a monarchi di sesso maschile, la sua figura subì una mitizzazione molto forte, legata al ruolo di custode della famiglia e di generatrice di vita, tanto che la sua figura venne da quel momento in poi associata alla madre terra.

Il problema del potere: I contributi del femminismo
Grazie al movimento femminista abbiamo fatto molta strada nella comprensione delle molte dimensioni di potere che influenzano la vita delle donne. Negli anni Settanta, il diritto di voto per le donne aveva già vent’anni. L’istruzione fino al livello della scuola media era obbligatoria anche per le ragazze da una decina d’anni. La scrittrice pedagoga italiana E. Gianini Belatti pubblicava “Dalla parte delle bambine”, un testo ben documentato, un’indagine lucida sull'educazione delle bambine e dei bambini nelle scuole e nelle famiglie dell’epoca: stereotipi sessisti; errori cognitivi su quanto è naturale e quanto è culturale nelle differenze tra i sessi, disattenzioni rispetto alla costruzione dell’identità di genere.
Soffiava però il vento del femminismo. Le donne stanche di “stare al mondo come tulipani in un giardino per offrire un grazioso spettacolo e non servire ad altro” (1) mosse dalla volontà politica di modificare lo status quo, iniziarono a pensare e ad attivarsi per creare una società paritaria. Fu ingaggiata una lotta a più colori e su tanti fronti: politico, sindacale, associativo, culturale. La parola d’ordine è “uguaglianza”. Uguaglianza di accesso alle esperienze, ai  diritti di co-educazione.
Lo studio culturale sul femminismo nei primi anni Novanta, segna anche un momento di riflessione sul mondo femminista. Nel suo articolo "Pedagogia del Femminile" (1997), Charlotte Brunsdon contesta l'uso che fino a quel momento era stato fatto del femminismo. In particolare si chiede fino a che punto il femminismo così come manifestatosi, abbia preso in considerazione la condizione della “donna normale”, quanto, in definitiva, il soggetto femminile nella sua dimensione ordinaria, sia stato oggetto di attenzione del femminismo.(2) Si assiste così al superamento in positivo delle “sfere separate”.(3) Si consolida prima un “femminismo domestico” in cui le donne reclamano una maggiore autonomia nelle scelte importanti della propria vita, nella gestione di se stesse, rivendicando il diritto di scegliere il marito per amore, e il diritto produttivo, inteso, quest’ultimo, anche come diritto a non avere figli. In seguito si afferma un femminismo sociale e legislativo. Molte femministe hanno perseguito l’emancipazione dall’ambiente domestico per integrarla pienamente nel mondo del lavoro e della politica.
“Troppo spesso questi sforzi hanno considerato eccessivamente superficiale il desiderio della donna di diventare madre, etichettandolo come prodotto di una visione sentimentale ed antiquata del ruolo di donna”.(4) Tale tendenza ha contribuito ad una generale svalutazione “del prendersi cura”, intesa ora come qualcosa di marginale e di correggibile. Eppure la scrittrice femminista Germaine Greer, che nel suo libro del 1971 “The Female Eunuch” disprezzava la gravidanza e la maternità, più tardi confesserà “di piangere i suoi figli non nati”. Si riconosce, pur difendendo l’aborto che “esiste un profondo impulso umano ad aver figli”  e che essere madre è “intrinsecamente significativo”. La decisione delle donne di avere un figlio diviene “profonda e trasformante”, in una concezione nuova della maternità che si basa su un senso, una moralità e persino su un’estetica diversa. La famiglia però, nel’idea femminista, non è più l’unico punto di riferimento: la cura e l’educazione dei fanciulli escono dalla sfera esclusivamente familiare diventando un fatto di pubblico interesse.(5)

Il potere della donna nel terzo millennio
La valorizzazione della maternità e delle azioni di cura intese come fonti di enormi gratificazioni, è la chiave di volta del femminismo che, attraverso tali concezioni promuove l’umanizzazione della società e pone le basi di un’etica per l’impegno civile.
Le competenze psico-socio-pedagogiche del potere femminile vengono ridotte ad una dimensione corporea che vede la donna capace di prendersi cura degli altri perché è capace di un sentire empatico, riconducibile all’esperienza biologica della maternità. Il corpo e anche il soggetto viene a rappresentare un punto focale per la femminista Judith Butler .(6) Secondo lei, il concetto di soggettività e i mezzi con cui le forme culturali e definiscono le donne, solo in apparenza sono descrittivi di una diversità naturale, mentre, in realtà le producono come soggetti. Ciò al fine di dissolverne l’identità collettiva e disporre delle singole soggettività in termini di potere: da un problematico "lei", si passa a un non problematico "noi"(7) , e questa riflessione è indicativa di una svolta verso ciò che potremmo definire la “politica emergente post-femminista”.

Il processo verso la parificazione dei diritti, tuttavia, ha portato alla critica di un’uguaglianza solo formale, o piuttosto spostata verso un’emancipazione femminile appiattita sul modello maschile .  “Il mondo dell’uguaglianza è il mondo della sopraffazione legalizzata, dell’unidimensionale; la donna è l’altro, rispetto all’uomo e l’uomo è l’altro, rispetto alla donna, emanciparsi, liberarsi non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo, ma esprime il proprio senso dell’esistenza, il mondo della differenza è il mondo dove la sopraffazione cede al rispetto delle varietà e della molteplicità della vita”.(8)
La differenza viene assunta come concetto-guida, come categoria progettuale perché non si tratta solo di liberare le donne dentro un universo ancora tutto maschile, ma di affermarne la specificità, di consolidarla e farla vivere dialetticamente nell’ambiente sociale e culturale.(9)
Se tuttavia un certo percorso verso il riconoscimento della differenza di genere in Occidente è stato fatto, molto più critica appare la situazione nelle realtà post-coloniali, uno dei cui maggiori problemi resta ancora il fermo ancoraggio ai ruoli tradizionali della soggettività femminile. In qella che potremmo definire la ‘seconda ondata del femminismo’, la pretesa di rappresentanza è venuta ad essere perciò quasi completamente interpretata da femministe post-colonialiste come, tra le altre, G.C. Spivak, Trinh T. Minh-ha, e C.T. Mohanty e da teoriche femministe come J. Butler e D. Haraway, che, come movimento preliminare, partono da una radicale de-naturalizzazione del corpo post-femminista per affermarne solo in seguito la costituzione autonoma di sovranità.

 

1  Astell, M., A Serious Proposal to the Ladies for the Advancement of their True and Greatest Interest, London, 1694
2  Brunsdon, Ch., Screen tastes: soap opera to satellite dishes, Routledge, London 1997
3  De Marneffe, D., Maternal Desire: On Children, Love, and the Inner Life, Amazon, New York 2004
4  Friedan, B., La mistica della femminilità, trad.it Loretta Valtz Mannucci, Comunità, Milano 1970
5  Engels, F., L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti, 1963, p.76
6  Butler, J., Gender Trouble , Routledge, New York 1990
7  Butler, J., Bodies That Matter, Routledge, New York 1993
8  Lonzi, C., Manifesti di rivolta femminile, 1970

9  Uliveri, S., Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal dopoguerra a oggi, La Nuova Italia, Firenze 1999

 

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