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n. 3 / luglio 2013

Prima di Zanardi
rivoluzioni grafiche e narrative nel calore degli anni '70

Stefano Cristante
Professore di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi
Università del Salento, Lecce

 

Questa breve storia comincia in Francia negli anni '70. Attorno a un tavolo parigino si ritrovano quattro personaggi che gravitano attorno al mondo delle bandes dessinées, cioè dei fumetti. Sono Jean Giraud, ammirato disegnatore del tenente Blueberry (un western psicologico decisamente moderno), Philippe Druillet, altro disegnatore di eccellenza cimentatosi con la fantascienza, Jean-Pierre Dionnet, sceneggiatore e giornalista, e Bernard Farkas, direttore finanziario. Tutti e quattro sono alla ricerca di qualcosa di diverso dalla concezione tradizionale del fumetto, che pure in Francia riscuote grande successo e vive un consolidato riconoscimento culturale e di mercato. I quattro sono qualcosa di più di una sommatoria di spiccate individualità: sono un gruppo. In omaggio alla filosofia visionaria e fantastica che vogliono praticare prendono il nome di Humanoides Associés. Danno vita a una rivista che rispecchia le loro idee. Il nome è forte: “Métal Hurlant”. Il primo numero esce nel dicembre 1974.

Vi è qualcosa di temerario nell'operazione, soprattutto se si pensa alla fama che già circondava i protagonisti, in specie i due disegnatori. E' una sfida per creare e far emergere un nuovo immaginario collettivo, posizionando le lancette creative su un futuro imprecisato che già vive nelle tavole a fumetti di Métal e che intende accantonare la produzione seriale-industriale dei comics d'avventura per un risultato che appartiene a un livello qualitativo diverso e superiore. In particolare Jean Giraud sembra vivere le proprie nuove opere come un'apertura estetica e una liberazione filosofica. Su Métal usa lo pseudonimo Moebius, che lo renderà noto anche al di fuori del mondo dei fumetti. Le sue tavole non sono più “storie”: prende un personaggio e lo trasporta nello spazio-tempo che più gli aggrada facendogli vivere situazioni irreali, sovrapponendo strati fantastici a strati comici, densità magiche e paesaggi tecnologici, consentendosi ogni tipo di incisi, di flash-back e di citazioni. Il personaggio forse più conosciuto di questa sua fase artistica è un improbabile militare con tanto di casco coloniale e calzoni da cavallerizzo, il maggiore Grubert, che si muove con nonchalance tra astronavi intergalattiche e mondi alieni. La prima pagina della prima storia di questa “non-saga” ha un'intestazione molto indicativa della nuova tendenza proposta. Dentro una cornice irregolarmente rettangolare – quasi un cartello segnaletico – galleggiano le seguenti frasi: “State attenti! Grubert vi sta osservando!” (a sinistra); “Una tranquilla storia di Moebius: il Maggiore Fatale” (al centro); “Riassunto: Non abbiamo notizie del maggiore...” (a destra).

Il connubio esplosivo è offerto da questo modo di (non)raccontare (sraccontare?) e da disegni impressionanti per bellezza e morbidezza di tratto, come se Moebius riuscisse a creare (per altro in un difficilissimo bianco e nero) ogni oggetto partorito dalla sua fantasia dandogli una forma che il cervello del lettore registra come una scossa. Una scossa capace di ampliare la propria capacità di visione.

E' questo il punto centrale dell'affaire Humanoides Associés: la creazione di immaginario (visionario, fantascientifico, fantasy, citazionista) si accompagna alla creazione di pubblico, nutrito da immagini stupefacenti e da ammiccamenti testuali che lo obbligano a entrare nel cuore delle tavole con la spinta dell'osservatore partecipante. Si tratta infatti di un nuovo livello di elaborazione di immaginario, il passaggio a un salto di qualità percettivo. Tutto il Novecento sognato (immaginato) dalle avanguardie storiche degli anni '20 e '30 prende una forma fumettistica. E il fumetto si rivela così il medium più poroso e assorbente, in grado di rilasciare tracce di immaginario in tutte le direzioni e abbandonandosi a ogni suggestione creativa.

L'influenza di Metal Hurlant è stata subito notevolissima sugli autori di fumetto contemporanei, e l'Italia non ha fatto eccezione. Anzi. L'aria nuova comincia a respirarsi già in Linus, la più prestigiosa e colta rivista italiana di fumetti, nonché la prima ad essere apparsa nelle edicole traducendo le strisce americane dei Peanuts e di Pogo. Nel 1974 Linus esce da quasi un decennio (dal 1965), e da due anni è diretta da Oreste Del Buono. La direzione prende la decisione di pubblicare una nuova testata, che sin dal titolo – “Alterlinus” – intende presentarsi come una costola che si stacca dall'ormai consolidata emergenza comico-satirica di provenienza soprattutto nord-americana. Alterlinus rappresenta una plusvalenza, un viraggio delle storie a fumetti verso l'avventura. Storie dove trovano spazio produzioni di avanguardia che, già al loro primo apparire, hanno il profumo di classici. Da Gli scorpioni del deserto di Hugo Pratt a Valentina di Crepax. C'è inoltre spazio, fin dal 1975, per Moebius, su sceneggiatura del collega Druillet (Missione su Centauri).

Alterlinus risente del clima generale di sperimentazione nell'arte povera del fumetto. Ha un'ulteriore apertura, sottolineata dal cambio estremista della testata, che diventa “Alter Alter” e che riazzera la numerazione delle uscite. E' su Alter Alter che si apre la storia professionale di un ventenne pugliese, studente del Dams di Bologna. Si chiama Andrea Pazienza. Lasciamo perdere le curiose leggende secondo cui il giovanotto si presentò nella redazione di Alter e su come proseguirono i suoi rapporti con Oreste Del Buono. Concentriamoci sulla “storia” che Pazienza consegnò ad Alter Alter. Il titolo è noto: Le straordinarie avventure di Pentothal. Pentothal è lui, Andrea Pazienza, (auto)costretto a dire (e a dirsi) la verità. La verità della sua condizione di studente fuorisede in ritardo con gli esami, di spasimante incostante e di amante lasciato, di artista pigro e improvvisamente veloce come una freccia, di colto seguace delle avanguardie storiche e di sbruffone, di militante interrotto, di aggredito dai fascisti, di sopravvissuto a incubi e droghe. Dentro queste verità parziali vive un'ulteriore verità, quella storica. Perché Pazienza, nel febbraio '77, non si trova in un posto qualsiasi: si trova a Bologna, la città da cui comincia a prendere forma il movimento che sarà chiamato come quell'anno. Pazienza è – suo malgrado – travolto da quella nascita. Così scrive con la sua grafia infantilmente accattivante al termine di un episodio di Pentothal di quel periodo:


“Nota. Mentre lavoravo a queste tavole, nel mese di febbraio '77, ero convinto di disegnare uno sprazzo, sbagliando clamorosamente perché era invece un inizio. Ne avessi avuto il sentore, avrei aspettato e disegnato questo bel marzo. Così mi trovo di colpo a non saper più bene che fare. Ho già consegnato tutto il materiale a Linus venti giorni fa. Ma Cristo, sono cambiate tante cose nel frattempo e tante altre cambieranno sino al giorno in cui il fumetto sarà pubblicato che mi sento male e mi do del coglione per non averci pensato. Cioè disegnare fumetti non è come scrivere per un quotidiano. Se capite cosa intendo. Allora disegno questa tavola qui e provo a portarla a Linus in sostituzione dell'ultima pagina originale, sperando di fare in tempo. L'ultima pagina originale aveva al posto del «fine» di prassi in basso a destra un «allora è la fine» che suona decisamente male. Madonna, vi giuro, credevo che fosse uno sprazzo. Era invece un inizio. Evviva! Andrea Pazienza, 16 marzo '77”.


La tavola che l'artista riesce a far inserire nella rivista è completata da un'immagine di Pentothal con occhio sgranato che pensa “Tagliato fuori... sono completamente tagliato fuori...” mentre una radiolina chiede ai “compagni” di non disperdersi alla fine delle assemblee. La radio e il volto di Pentothal sovrastano un carrarmato e uno striscione dove si legge “Francesco è vivo e lotta insieme a noi”. Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, era stato ucciso l'11 marzo durante gli scontri tra manifestanti di estrema sinistra e carabinieri, in seguito all'intervento delle forze dell'ordine in difesa di un'assemblea di Comunione e Liberazione contestata da gruppi di militanti della sinistra extraparlamentare. Mezzi blindati erano stati inviati dal ministro degli interni Francesco Cossiga a Bologna. Tutto questo è presente nel fumetto di Pazienza, insieme però a mille sfaccettature di situazioni e di pensieri che non solo non interrompono la trama della sua narrazione, ma diventano anzi la trama stessa. Pazienza sottrae e aggiunge a piacimento parti di storia alle sue storie, ci fa entrare con maggior empito di Moebius nel suo accavallato giro di pagine, si fa conoscere nel presente universitario e riconoscere nel passato di studente del liceo artistico. Squaderna il suo sapere non superficiale, gode commettendo errori di ortografia che diventano una specie di marchio creativo, passa da raffigurazioni pittoriche ad alta complessità a pupazzetti pseudo-disneyani, rende ogni tavola un caleidoscopio di rifrazioni eclettiche. A differenza di Moebius lavora tanto sul testo quanto sul disegno: anche se sono i segni lussureggianti dei pennarelli (da lui preferiti ai pennelli) a colpire lo sguardo del lettore, sono poi i testi a decretarne le scombussolate arti di narratore. Anche i suoi testi sono inconfondibili. E i disegni sono impressionanti – sia nel rispetto del dettaglio sia nella sfida continua ai limiti dell'eclettismo. Limiti che Pazienza sembra non riconoscere e non avere.

Sulla “struttura” grafica rivoluzionaria assimilata da Moebius Pazienza inserisce un particolare di importanza decisiva: il tempo presente. Pazienza non ha bisogno di spostare la “visione” nel futuro. Al contrario: succhia al presente ogni stilla di narrazione, dimostrando che la tavola iper-articolata dei suoi fumetti è già nella mente del lettore. Un lettore che si riconosce nelle avventure (financo nelle minime) dei suoi personaggi e nella “definizione della situazione disegnata”. La lettura non è fatica: è – semplicemente – biopolitica.

Né vale come indicazione critica un ancoraggio stabile di Pazienza al “movimento del '77”. L'artista – mi pare – raccoglie anzi una spregiudicata direzione partorita dal lavoro sull'immaginario fatto da quel movimento. “Era invece un inizio”. Non di un futuro – tantomeno roseo. Piuttosto di un mondo dromoscopico, fatto di velocità e di accelerazione cognitiva. L'orizzonte della politica non contiene (non è in grado di farlo) l'elaborazione del medium fumetto. E' uno sfondo – e non il principale – delle nuove visioni accelerate del presente. Per indurre le moltiplicazioni visionarie e per spremere al medium fumetto tutte le stimolazioni possibili c'è bisogno di un altro elemento. Dopo la rivoluzione grafica – risolta da Pazienza anche sul piano compiutamente narrativo e testuale – ecco l'accoglimento del secondo suggerimento degli Humanoides Associés: la partecipazione a un gruppo.

Ho fino a qui raccontato le vicende dell'arte fumettistica italiana a partire da Andrea Pazienza, ma avrei potuto farlo anche partendo da Stefano Tamburini, da Tanino Liberatore, da Filippo Scozzari e da Massimo Mattioli. Persone e personalità diverse – diverse anche per età, essendo Scozzari e Mattioli più maturi anagraficamente – tuttavia unificati dal grande talento e dall'interesse onnivoro per l'arte di raccontare e di rappresentare. Nonché per l'ampiezza delle fonti.

Uno dei denominatori comuni dell'incontro – fornito come al solito da una rivista – è ancora una volta identificabile nella propensione amorosa per le avanguardie storiche del Novecento. Il titolo del magazine è “Cannibale”, lo stesso nome di un ardito tentativo del dadaista Francis Picabia realizzato nel 1920. Il Cannibale voluto in primo luogo da Stefano Tamburini era certamente più underground di Alter Alter, dove avevano pubblicato sia Pazienza sia Scozzari. Tamburini – meno dotato come disegnatore ma dal talento grafico eccezionale – riesce a far esplodere la forma povera del magazine ancora debitrice della forma fanzine: moltiplica le copertine di uno stesso numero, scrive colophon depistanti, inganna sulle numerazioni. Si esprime attraverso virtuosismi impaginativi. Gli altri immettono in Cannibale la loro parte più folle, condensando in storie brevissime e zippate l'estro artistico e virando i testi su una vena demenziale e caustica. Agli occhi più attenti la qualità della rivista non sfugge. Tuttavia l'esito commerciale non è soddisfacente. Ma il nucleo produttivo è costituito. Cannibale risponde solo ai suoi autori che, nel frattempo, incontrano altre situazioni. E' il caso de “Il Male”, settimanale di satira fondato dal disegnatore Pino Zac. Anche in questo caso vi è un legame con la Francia, perché Zac aveva lavorato come collaboratore del “Canard enchaîné”, il più furibondo e duraturo giornale di satira transalpino. Zac aveva presto lasciato il Male per altri destini, ma il gruppo radunatosi attorno a Vincino, Vauro, Jacopo Fo e Riccardo Mannelli decise di continuare. Era il 1978. Di lì a poco le Brigate Rosse avrebbero rapito Aldo Moro, facendo sprofondare l'Italia nell'atmosfera regolata dall'espressione “anni di piombo”. Eppure la redazione de il Male era uno dei luoghi che sembravano immuni dal plumbeo tempo. Secondo le testimonianze dei protagonisti e di una vasta cerchia di collaboratori e amici il clima che si respirava nella palazzina di Monteverde dove si realizzava il settimanale era al contrario incasinata, gioiosa, anarchica, goliardica. Il Male rischiava ogni settimana il sequestro per via delle sue iniziative di violentissima satira antipartitica e anticlericale, oppure per l'inusitata operazione dei falsi dei grandi giornali dell'epoca (uno su tutti: ben quattro testate nazionali perfettettamente imitate con il titolo in caratteri di scatola “Ugo Tognazzi è il capo delle BR”). Ad ogni sequestro la fama de il Male cresceva, e così le vendite e gli introiti di quel gruppo di autori (disegnatori, illustratori, giornalisti, sceneggiatori), sempre più simile a una factory che a una redazione. Alla factory si aggiunsero anche i talenti di Cannibale, che continuavano a lavorare alla propria rivista ma che ora venivano ospitati logisticamente e anche editati dal Male. Soprattutto Pazienza e Scozzari prestarono la propria mano talentosa, rinunciando al fumetto vero e proprio e lavorando principalmente su vignette singole e su illustrazioni. Molti ragazzi che all'epoca erano al liceo ricordano il rito di passarsi una copia de il Male sotto i banchi, magari dividendo i fogli e inviandoli in più direzioni. Ben pochi rifiutavano di dare un'occhiata a quell'irridente collage. La condivisione delle follie del Male era il segno che una comunità ben più vasta dei militanti del '77 era disponibile a ridere, a trovare accettabile l'estremismo satirico che dalla cartaccia povera del periodico si alzava oltre il piombo di quegli anni.

Tamburini, Pazienza e gli altri fumettisti furono per un paio di stagioni parte di quel mondo e anzi lo influenzarono con la loro arte. Ma gli anni '70 erano al termine, e dal cervello di Tamburini – il più sensibile alle tendenze dell'arte globale – stava nascendo l'idea che occorresse attrezzarsi a un clima opposto al calore del decennio in conclusione. “Frigidaire” sarà il titolo di quell'idea. E, con un semplice titolo, la storia di un gruppo di artisti e del loro pubblico diventerà tutta un'altra.


Nota: ho cercato di scrivere questo saggio usando la mia memoria personale come fonte principale. Ho comunque dovuto consultare i seguenti volumi, che costituiscono una sorta di bibliografia minima dell'articolo:


Boschi Luca, Frigo, valvole e balloons. Viaggio in vent'anni di fumetto italiano d'autore, Theoria, Roma, 1997.

Moebius (Jean Giraud), L'arte di Moebius, Repubblica-Panini, Roma, 2003.

Pazienza Andrea, L'arte di Andrea Pazienza, Repubblica-Panini, Roma, 2004.

Vincino (Vincenzo Gallo), Il Male. 1978-1982. I cinque anni che cambiarono la satira, Rizzoli, Milano, 2007

 

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