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n. 0 / Gennaio 2012

"All'uso degli imperatori romani". L'incoronazione di Carlo V

Giovanni Sassu
Curatore dei Musei Civici d'Arte Antica di Ferrara

«Altro non si vedeva che arrivare principi, signori, prelati et cortigiani, et da ogni lato gli artefici in fretta lavorare tanto il giorno quanto la notte». Così Leandro Alberti ricorda, a pochi anni di distanza, l'accalcamento di cose e persone, il clima che si respirava Bologna durante i cinque mesi che vedono Clemente VII e Carlo V riuniti in occasione dell'incoronazione imperiale, nel febbraio del 1530 (1).

Dopo anni di (quasi) oblio, la specifica connotazione artistica di tale evento è ormai pienamente riconosciuta. Eppure, come spesso ho avuto occasione di rilevare, lo storico assiste ad una contraddizione sostanziale tra la ricchezza delle fonti scritte, che indicano una vera e propria selva di opere e di artisti attivi sotto le Due Torri, e l'esiguità quasi drammatica di quelle figurative. Ciò è dovuto, innanzitutto, al fatto che molta parte della ricchezza visiva dell'evento, come ad esempio gli apparati costruiti per le entrate trionfali, possedeva in se stessa una natura effimera, legata al "qui e ora" del momento celebrativo (2).

Ciò non toglie nulla, ovviamente, alla rilevanza artistica dell'evento, e non placa la necessità dello storico di insistere nell'indagine, non fosse altro per il concreto stimolo che la situazione generatasi a Bologna in quei mesi tra l'ottobre del 1529 e il marzo del '30 offre alla ricerca stessa, allorché entrarono in contatto, durante la prolungata permanenza della corte papale e di quella imperiale, culture, esperienze, necessità, aspet-tative spesso assai diverse tra loro.

Da questi incroci emergono così alcuni temi che vorrei di seguito provare a richia-mare, alla luce del tema del convegno, aggregando per omologie significative alcune delle non moltissime testimonianze visive sopravvissute. Tutto ciò nella convinzione che "Bologna 1530" rappresenti uno dei momenti più alti dell'iconocrazia costruita da Carlo V e dai suoi consiglieri attorno alla propria immagine, una sorta di punto di snodo nel processo di trasformazione iconografica che porta ad abbandonare l'immagine del sovrano nordico, del cavaliere borgognone, in luogo di quella universale di nuovo eroe neo-antico eppure modernissimo, di "imperator invicte" che si appropria dei codici rappresentativi antichi per riproporli in maniera modern (3).

«All'uso degli Imperatori romani»: ritratti di Cesare

«L'imperatore Carlo V è il cardine intorno al quale si realizza la più spettacolare svolta della storia moderna», sosteneva lo storico spagnolo, Salvador de Madariaga. (4) Tale svolta si riflette, se non proprio si concretizza «prima ancora che nella sua politica » nella sua stessa immagine, in particolarmente nel campo del ritratto, tema fonda-mentale per un uomo che governava in un territorio «en el que nunca se pone el sol», per riprendere una frase abusata ma davvero icastica, talmente vasto da richiedere la sua presenza ovunque anche se solo in effige.

In questa materia, Carlo V sembra aver fatto seguire a un vago interesse iniziale un controllo ferreo, una vera e propria "iconocrazia". Il punto di cesura, è indiscutibile, è proprio il passaggio italiano del 1529-30 e 1532-33, dove un'analisi dei dati figurativi e delle effigi dell'Asburgo prima e dopo l'incoronazione, evidenzia con chiarezza altri aspetti del già noto processo di "italianizzazione" della sua figura, tesa a far rivivere i fasti degli imperatori romani.

Indubbio, infatti, che Carlo V si sia preoccupato costantemente di trasmettere la propria effige in vari contesti, da quelli più privati (il ritratto di uso familiare) a quelli di natura pubblica (l'immagine apposta su timbri e bolle, i ritratti ufficiali, le medaglie e le monete). Ebbene, scorrendo il copioso materiale a disposizione, e distinguendo tra prototipi e copie, è possibile constatare una certa costanza nella rappresentazione dell'Asburgo, dalla più tenera età alla prima maturità.

Nel celebre Ritratto della famiglia di Massimiliano I, dipinto dal pittore di corte tedesco Bernhard Strigel nel 1512, ora a Vienna (5), il giovane rampollo presenta già tutte le caratteristiche che gli saranno proprie negli anni successivi: i tratti distintivi del potere dinastico (condensati nel Toson d'Oro appeso al collo), quelli della provenienza geografico-culturale (il copricapo a falde larghe accompagnato da una spilla, la giacca di pelliccia in uso in area fiamminga) e quelli, infine, più personali (il taglio di capelli "a caschetto", la mascella affetta dal prognatismo ereditario (6), le labbra carnose).

Con l'avanzare della carriera politica tra il 1515 e il 1520, le raffigurazioni del sovrano di Gand si intensificano ma non perdono i connotati tipici del cavaliere borgognone. Alla vigilia della prima incoronazione, 1520 Aquisgana, tale configurazione morfologica dell'uomo e dei suoi simboli comincia ad apparire con continuità nella pubblicistica ufficiale di corte. Mirabile esempio è la bella incisione che raffigura l'Asburgo come Re di Spagna e candidato al Sacro Romano Impero (fig. 1), eseguita nel 1519 da Hans Wieditz su disegno di Albrecht Dürer (7). All'immagine consueta di tre quarti si uniscono anche gli emblemi, ora chiarissimi, del potere imperiale in via di costruzione: l'antico simbolo dell'aquila e quello, nuovissimo, delle due colonne d'Ercole con il motto "Plus Ultra" tradotto in tedesco (8).

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Fig.1. H. Weiditz (su disegno di Albrecht Dürer), Carlo V come re di Spagna e candidato alla corona imperiale, 1519 Madrid, Biblioteca Nacional de España 

In questa gestione della propria immagine, il grande evento di Aquisgrana porta con sé l'emergere in superficie dei simboli del nuovo titolo e l'affiancamento, in alcune occasioni, di modalità rappresentative legate alla tradizione. Ciò succede, al massimo grado di comprensione simbolica, nella medaglia, anche questa su disegno di Albrecht Dürer, coniata da Hans Kraft nel 1521 (9).

Credo sia la prima volta, in contesti accerta-tamente ufficiali, in cui Carlo V si presta a farsi rappresentare di profilo, certo spinto dalla numismatica convenzione rappresentativa che, al contempo, porta Dürer e Kraft a censurare decisamente il prognatismo asburgico e a vestirlo con un'armatura che, a quella data, non aveva mai indossato.

Gli argini della rappresentazione di profilo sembrano ora caduti del tutto: nel biennio successivo si collocano diverse effigi del giovane re dei tedeschi che, liberi di derogare dalle convenzioni numismatiche, non disdegnano di descriverlo in maniera più realistica. è ciò che avviene nella silografia del tedesco Hieronymus Hopfer (noto per i suoi ritratti di profilo, tra gli altri, anche di Erasmo da Rotterdam), che, nel 1520 o 1521, ripropone un Carlo con Toson d'Oro, berretto e pelliccia (fig. 2). La censura cade in molti altri casi che non esigevano la sacralità della tradizione, come ad esempio nelle diverse spille da cappello prodotte in vari formati in questi anni (10).

Questi elementi restano immutati per tutto il corso degli anni Venti. Talora, comincia a emergere la necessità di marcare la continuità dinastica e quasi divina con illustri predecessori. In questo senso, il paragone non può che essere con Carlo Magno, piuttosto che con gli imperatori romani. è questo l'intento propagandistico di piccoli opuscoli diffusi a seguito dell'incoronazione a re di Germania come la Vita et gesta Karoli Magni(fig. 3), stampato a Colonia nel 1521 «cum privilegio imperiali», prima edizione a stam-pa della biografia ufficiale di Carlo Magno stesa da Eginardo.

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Fig.3. Eginhardo, Vita e gesta Karoli Magni per Eginhartum descripta, Colonia 1521, esemplare conservato a Madrid, Biblioteca Nacional de España

Comincia a crearsi il mito dell'imperatore che combatte gli infedeli turchi e mira alla riunificazione della cristianità. In questo senso non è affatto casuale la scelta di raffigurare nel frontespizio del testo del biografo di Carlo Magno il giovane Asburgo accanto allo stesso imperatore alto medievale: i due sono rappresentati a figura intera con i rispettivi attributi icono-grafici e colpisce il contrasto, fortemente voluto, tra l'abito da soldato perennemente in guerra indossato dal primo Carlo e l'elegante parata da festa di corte con cui è invece effigiato il quinto Carlo. è in questa frizione, forse, che occorre andare a cercare la genesi della trasformazione che si andrà a illustrare tra poco11.

Fino al 1529 è documentabile attraverso le fonti figurative solo l'innovazione della cre-scita della barba, che fa la sua comparsa nelle rappresentazioni ufficiali e dinastiche, poste-riori al matrimonio con Isabella del Portogallo nel 1526. è il caso del bel rilievo d'alabasto pubblicato in molti dei cataloghi del anno carliano 2000; opera anonima ma certamente fiamminga, essa è conservata a Vienna e raffigura Carlo di profilo assieme a Massimiliano I (fig. 4), con un gusto per l'"affrontamento" tutto ispanico-fiammingo12.

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Fig.4. Anonimo scultore fiammingo, Doppio ritratto di Carlo V e Massimiliano I, 1529 Vienna, Kunsthistorisches Museum

Le fattezze di Carlo V così come si configurano nell'alabastro viennese ricompaiono con discreta precisione nello straordinario disegno del British Museum raffigurante la Stipula della pace di Bologna (fig. 5) o, se si preferisce, il Doppio ritratto di Clemente VII e Carlo V, realizzato da Sebastiano del Piombo probabilmente nel 152913.

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Fig.5. Sebastiano del Piombo, Doppio ritratto di Clemente VII e Carlo V (part.), 1529 Londra, British Museum

Nonostante sia stato dimenticato dalle mostre carliane del 2000 (quinto centenario della nascita dell'Asburgo), il disegno è importante non solo per l'alta qualità dell'esecuzione, ma anche perché è ora un artista italiano a rappresentare l'imperatore, artista che, ovviamente, agiva con un'impostazione ben diversa da quella fiamminga o tedesca. E così, in questo ritratto non ufficiale l'Asburgo perde tutti i suoi connotati di cavaliere borgognone (pelliccia, Toson d'oro, cappello a larghe falde) in luogo di un abito meno nordico e del berretto messo di traverso, che l'incoronando imperatore portava sul capo sin da quando sbarcò a Genova e poi durante il soggiorno bolognese14.

Non entro nelle riflessioni in materia di datazione che andrò a proporre più avanti. Per ora basterà rimarcare la grande verosimiglianza documentaria di questa testimonianza: se Sebastiano avesse agito di fantasia avrebbe certamente fatto riferimento alla nutrita schiera di ritratti fiamminghi sopra descritta. Questo elemento fondamentale, assieme all'evidente scarsa accondiscendenza nei confronti dei difetti fisici imperiali, fa di questo disegno un raro documento della fase intermedia del mutamento di pelle dell'Imperatore.

La trasformazione definitiva si registra nelle immagini successive, realizzate durante o dopo il viaggio italiano, dove la gestione della "immagine di sé" da parte del Carlo trentenne si fa ferrea. Il taglio di capelli comincia ad accorciarsi e ad arricciarsi in modo del tutto improvviso. Così, l'Asburgo è ora raffigurato con i capelli corti con dei ciuffi che gli coprono parte dell'orecchio, oppure con le orecchie scoperte. Con la prima acconciatura compare nel celebre Ritratto in piedi con il cane  (fig. 6) di Jakob Seisenegger del 1532 (Vienna)15 o in altre raffigurazioni "celebrative" come la silografia acquerellata della Staatsbibliothek di Bamberga eseguita da Christoph Amberger poco dopo il 153016, oppure in quella di Robert Péril raffigurante la Cavalcata trionfale di Clemente VII e Carlo V dopo l'incoronazione (fig. 7), incisa ad Anversa nel 153017.

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Fig. 6. J. Seisenegger, Ritratto di Carlo V a figura intera col cane, 1532 Vienna, Kunsthistorisches Museum


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Fig.7. R. Péril, Il corteo di Clemente VII e Carlo V (part.), 1530, silografia Anversa, Musée Plantin-Moretus

Analogamente la nuova acconciatura si ritrova nelle medaglie coniate per celebrare l'avvenuta incoronazione: in quella di Giovanni Bernardi da Castelbolognese (fig. 8) o in quella coniata da Matthes Gebel (fig. 9) e, persino, nel ducato d'argento distribuito a Bologna durante la processione congiunta del 24 febbraio 153018.

 

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Fig.8. G. Bernardi da Castelbolognese, Medaglia con ritratto di Carlo V, 1530 Vienna, Kunsthistorisches Museum, recto

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Fig.9. M. Gebel, Medaglia con ritratto di Carlo V, 1530 Vienna, Kunsthistorisches Museum, recto

Ma assai più facile è trovare Cesare raffigurato con una capigliatura corta "alla Costantino": così è effigiato, ad esempio, nel bel disegno (fig. 10) di Christoph Amberger della Pierpont Morgan Library di New York19, preparatorio per il dipinto di Ber-lino, nella celeberrima copia eseguita da Tiziano del 1532-33 ora al Prado dal già citato ritratto col cane di Seisenegger, nel Ritratto in piedi di Castle Ashby dello stesso Sei-senegger (sempre del 1532), fino alle varie incisioni o altre raffigurazioni del 1531-33. Qui mi limito a citare la stampa più famosa di questo periodo, quella che rappresenta l'imperatore trentunenne realizzata da uno dei suoi ritrattisti preferiti prima della con-versione tizianesca, il luterano pentito Barthel Beham (fig. 11), e la celeberrima effige dipinta da Lucas Cranach nell'opera ora a Madrid al Museo Thyssen-Bornemisza, che dovrebbe datarsi al 153320.

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Fig.10. C. Amberger, Ritratto di Carlo V, 1532 New York, Pierpont Morgan Library

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Fig.11. B. Beham, Ritratto dell'imperatore Carlo V, 1531 Washington, National Gallery of Art, Rosenwald Collection

Insomma, con qualche oscillazione, si può registrare un cambiamento nell'aspetto dell'Asburgo, un mutamento dalle precise implicazioni simboliche. I cronisti non mancano di cogliere questo aspetto21. Infatti, se al primo incontro con l'Imperatore, a Genova nell'agosto del 1529, è lo stupore per la diversità con le effigi che circolavano in Italia a impressionare (un anonimo corrispondente scrive al cardinale di Mantova: «Il retratto di Cesare che ha misser Hipolito [forse Ippolito Gonzaga, Signore di Mirandola e amico di Benvenuto Cellini] non gli somiglia niente. Sua Maestà se ha fatto tosare da poi che è qui in Italia…»)22, quattro mesi dopo, al suo arrivo a Bologna, un pubblico più erudito coglieva significati più profondi nel cambio di aspetto. Al suo entrare, nessuno mancava di menzionare il suo berretto di «velluto negro», la sua corazza da parata con il braccio scoperto e così via. Ma qualcuno, un anonimo, nel descrivere le sembianze della testa trovava modo di scrivere che l'Asburgo aveva «la barba rossetta et li capelli negri che traze al rovan et curti»23. Lasciando da parte il colore, che non torna con le altre descrizioni e che qui la fonte confonde con la tinta del cappello, interessa la notazione «traze al rovan» che scioglierei con «che trasse alla romana». Ci aiuta in questo "illuminandoci sul significato ultimo di tale indicazione " la testimonianza di Pietro Accoliti, vescovo di Ancona e protagonista della cerimonia del 24 febbraio: agli inizi del 1530, in una sua missiva, il prelato si sofferma sull'aspetto di Cesare sottolineando come «quel che gli aggiungeva gravità era la barba bionda, ed i capelli di colore dell'oro, quali portava all'uso delli imperatori Romani tagliati a mezz'orecchio»24. Quindi, parrebbe di comprendere che Carlo appena giunto in Italia si fosse liberato del caschetto borgognone in luogo di un taglio corto, italiano, lasciandosi poi ricrescere i capelli fino a coprire parzialmente le orecchie nel novembre del 1529. Questa sarà la sua capigliatura durante la cerimonia dell'incoronazione: il trentenne fiammingo, così, si tagliò i capelli a mezz'orecchio per riappropriarsi del-l'«icona» dell'imperatore romano così come era conosciuta al tempo25. Che tale uso fosse poi più medievale che antico, poco importa sottolinearlo adesso.

E quasi dimentico di citare la rappresentazione di Carlo V più nota che si conosca attualmente, quella contenuta nel Ritratto allegorico di collezione privata (fig. 12), ora Stiebel Ltd. a New York, copia dall'originale di Parmigianino descritto da Vasari nelle sue Vite26. Non anticipo qui argomenti che esporrò in seguito riguardanti l'autografia. Ma, in questa prospettiva, poco importa: la tela in oggetto riproduce, c'è da credere fedelmente, il ritratto che Parmigianino realizzò «senza ritrarlo», vale a dire senza la posa consapevole di Cesare, «andando talora a vederlo mangiare» in quei mesi iniziali del 1530. Ebbene, nonostante le imperfette condizioni di questo dipinto, si può con facilità vedere che la capigliatura di Carlo V, sebbene un po' scompigliata, si presenta anche qui secondo il presunto «uso delli imperatori Romani», con i capelli (realizzati come una velatura adesso assai sciupata) che coprono in parte l'orecchio.

Curioso costatare come in un taglio di capelli si potessero condensare simbologie così importanti per l'economia generale di un'accorta politica dell'immagine, come quella che l'Asburgo si preoccupò di avviare dopo Bologna.

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Fig.12. Copia da Parmigianino, Ritratto allegorico di Carlo V ,  New York, Stiebel Ltd.

Il coronamento finale di questa trasformazione diretta si ha nella straordinaria testimonianza dell'elmo da parata fuso da Filippo Negroli nel 1533 (fig. 13), su incarico dello stesso Carlo V e ora a Madrid, nella Real Armeria27. Il processo avviato alla fine del 1529 giunge al tanto agognato volto da imperatore romano in questo elmo antropomorfo nel quale i capelli sono riccissimi, la barba è bifida sul mento, il capo è coronato d'alloro. Suggestivo immaginare la soddisfazione del trentatreenne ex cavaliere delle Fiandre nel mostrare al popolo, certamente stupito, la sua nuovissima maschera all'antica. Carlo Magno è lontano, ora, alla vigilia di Tunisi, Carlo è davvero l'«Imperator invicte»28.

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Fig.13. F. Negroli, Elmetto da parata di Carlo V, 1533 Madrid, Real Armería

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Fig.14. Frontespizio Die triumphe van dat cronemente van de keiser en dye triumphelijche incoemste van Aken, Acquisgrana 1520

Immagini dell'incoronazione attraverso la stampa

Nel corso di questa ricerca, un interrogativo è emerso con pressante continuità. Esso riguarda il valore testimoniale delle opere d'arte in relazione agli eventi visivi trattati. Mi è capitato spesso di chiedermi insomma se sia esistita o meno un'iconografia ufficiale e coeva dell'incoronazione. Ebbene, con sorpresa, la risposta non è affermativa.

Non esiste, infatti, una raffigurazione "pittorica" o "scultorea" dell'incoronazione imperiale che abbia i crismi dell'ufficialità29, eccezion fatta per l'illustrazione libraria che si configura come una luminosa eccezione. Tralasciando per motivi di tempo l'icono-grafia della incoronazione ferrea, quella a re d'Italia, normativamente necessaria, sono diversi gli esempi di frontespizi effigianti il momento culminante della cerimonia di incoronazione aurea.

Per diffondere in tutta Europa la memoria dell'avvenimento, l'equipe imperiale commissionò diverse pubblicazioni, per lo più composte da poche pagine ma spesso anche da semplici fogli sciolti, che rappresentano veri e propri volantini moderni. Tutte queste trovano un significativo precedente nell'opuscolo anonimo), stampato in occasione della prima incoronazione del 1520 (fig. 14). L'area spagnola è quella che offre maggiori esempi di questo tipo, a cominciare da La maravillosa Coronación del Invictissimo y Serenissimo Cesar Don Carlos Emperador… (fig. 15), edito a Siviglia in quello stesso 153030.

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Fig.15. Anonimo, L'incoronazione di Carlo V a Bologna, in La maravillosa coronación del Invictissimo y Serenissimo Caesar Don Carlos Emperador y Rey nuestro Señor: de las coronas que faltava de Hierro y de Oro en la cibdad de Bolonia por manos del papa Clemente Séptimo, s.l., s.d. (ma 1530) Madrid, Biblioteca Nacional de España

L'affascinante frontespizio è formato da varie stampe silografiche assemblate per l'occasione ma prodotte in precedenza, mentre la parte centrale è stata realizzata appositamente. Il valore di questa stampa non è documentario: non vi si trovano trascritti gli ambienti e i luoghi, ma le funzioni e i ruoli "sociali" degli astanti, ecclesiastici, diplomatici, soldati ecc. Carlo, ad esempio, è raffigurato in versione "borgognona", con i capelli lunghi, basandosi, come abbiamo visto, sull'iconografia pre-bolognese. Si tratta di uno dei primi dispacci d'agenzia dell'Europa moderna; in quanto tale è breve, veloce e indiscutibilmente di parte: gustosa, ad esempio, la porzione del testo che de-scrive la reazione indispettita di Clemente VII alle acclamazioni inneggianti all'Impero durante la cavalcata post-incoronazione.

Sullo stesso genere figurativo di astrazione non ritrattistica ma simbolica, si pone l'illustrazione silografica posta a corredo del Triumpho Imperial maximo sobre la refulgente coronacion segunda del sacro Charolo… (fig. 16), uno dei tanti testi dedicati all'imperatore dal biografo e apologeta iberico Vasco Díaz Tanco, stampato a Valencia nel 153031. 

Qui il principio astrattivo è addirittura maggiore e nessun dato, né fisionomico né simbolico, consente di identificare Carlo come tale. Anche qui, pertanto, l'immagine illustra il testo, lo arricchisce costituendosi come un dato in più, di natura puramente ornamentale.

Così, in questi contesti di diffusione informativa, l'illustrazione figurativa – o meglio figurata – sembra ancora rara, ben più diffuso è l'uso del frontespizio con simbolo, o meglio come sistema di simboli imperiali, come accade con il testo di Diego Grácian La Coronaciò imperial co todas sus cerimonias…, stampata in Spagna nel 1530.

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Fig.16. Anonimo, Incoronazione di Carlo V, in V. Díaz Tanco, Triumpho Imperial maximo sobre la refulgente coronacion segunda del sacro Charolo...Valencia 1530, Madrid, Biblioteca Nacional de España

Appartengono a questa stessa tipologia, a metà tra la documentazione e la pubblicistica, due stampe mai considerate in questi contesti, inserite dai curatori ottocenteschi dei Diarii di Marin Sanudo fra le descrizioni degli eventi del 1530 e che forse furono raccolte dallo stesso cronista veneziano32. Nella prima, opera di un incisore tedesco coevo di non eccelsa qualità figurativa ma dalla grande vocazione ornamentale, Carlo V è raffigurato a mezzo busto e di profilo con in mano lo scettro e con il globo (fig. 17). In basso la scritta «Karolvs Imperator et Reorvm anno 1530», mentre nella porzione superiore si legge «Karolvs Roemischer Kaiser des Remischen Reich 1530». Qui i dati di somiglianza sono tanti ma ancora più stretti sono i connotati informativi che lo defi-niscono come re e imperatore dei romani. Carlo ha in testa una corona che nella parte superiore è simile a una tiara papale, ornatissima di gemme e pietre, che combacia assai precisamente con la descrizione della corona fatta dalle fonti coeve33. Sembra essere questa, pertanto, l'unica raffigurazione realistica della dispersa corona aurea che lo stesso Carlo fece realizzare a Bologna dagli orafi imperiali capeggiati da Giovanni Dauson e installatosi davanti alla casa dei Dolfi in Strada San Mamolo, il cui costo si aggirò, stando ad Andrea Angelelli, sui 300.000 ducati34.

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Fig.17. Anonimo, Carlo V nel 1530, da M. Sanudo, Diarii…, Venezia 1898, vol. LII, coll. 653-654

I dati informativi mancano del tutto, invece, nella ben più affascinante composizione che raffigura una scena di incoronazione (fig. 18). Anche in questo caso, l'artista non è italiano, forse ancora una volta tedesco e in contatto strettissimo, mi pare, con Luca di Leida; anche in questo caso, nulla consente di descrivere la scena come quella svoltasi nel febbraio del 1530. La precisione nella descrizione di tutto, ambiente e astanti, con-sente di dire con certezza che l'incoronando non è Carlo V e l'incoronante non è Cle-mente VII. Non sono in grado di dire se e come circolassero attorno al 1530 questa e l'altra incisione, se l'una era il recto o il verso dell'altra, ma di certo, nel caso della seconda, è ipotizzabile una sua funzione "giustificativa": probabile, infatti, che essa intenda rappresentare l'incoronazione per eccellenza: quella di Carlo Magno35.

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Fig.18. Luca di Leida (ambito),Incoronazione di Carlo Magno?, 1530 ca., da M. Sanudo, Diarii…, Venezia 1898, vol. LII, coll.655-656

La cavalcata dei due sovrani: la necessità della rappresentazione

Non l'incoronazione ma la cavalcata post incoronazione, l'ovatio, la parata, sembra essere stato il messaggio politico più forte, l'elemento che, almeno da parte imperiale, si è sentito il bisogno di tramandare e diffondere. Dopo la cerimonia il corteo misto imperial-papale lascia San Petronio e compie una lunga sfilata per la parte sud-ovest della città. All'altezza dell'attuale piazza Calderini i due potenti si dividono: il Papa rientra nei suoi appartamenti, Carlo si reca in San Domenico per concludere la cerimonia e farsi ammettere tra i canonici lateranensi. Il cerimoniere del Papa, Biagio Martinelli aveva scelto San Giovanni in Monte per questa parte del rito, ma l'entourage dell'Impe-ratore impose la più spaziosa chiesa di San Domenico. Martinelli coglie perfettamente il perché di questa scelta: consentire a Carlo V di effettuare da solo un percorso più lungo durante l'ovatio post incoronazione: l'importanza dell'esposizione del corpo del re si giocava anche nella conquista di pochi metri di parata solitaria36.

Dopo le difficoltà del Sacco di Roma, pertanto, i due cavalcano l'uno al fianco dell'altro per diverse decine di metri mentre «si piglivano l'un l'altro per mani, ragionando se la ridevano»37. I nuovi obbiettivi di unità e di pace messi a punto nei mesi bolognesi richiedevano così un ulteriore sforzo di rappresentazione che fosse immagini-fico, coinvolgente. La parata stessa doveva esserlo e in effetti, nelle pagine dei cronisti, è possibile leggere con chiarezza l'impressione suscitata dallo sfarzo delle vesti, dalla morbidezza della seta e dal luccicare delle armature38. Il Senato bolognese compren-de che occorre stupire il pubblico attraverso uno degli atti più antichi di propaganda politica: il lancio di monete. L'11 febbraio si delibera la produzione di monete da lan-ciare alla folla e, cosa assai indicativa, si decide di realizzarle secondo il conio in uso presso i paesi imperiali39. E l'obiettivo è raggiunto visto che l'episodio non manca in nessuna cronaca, in nessuna corrispondenza da Bologna. Per raffigurare un evento simile e il nuovo assetto del potere, Carlo V e il suo seguito non erano interessati agli affreschi o alle sculture, serviva qualcosa che potesse diffondersi oltre le mura felsinee e, velocemente, in tutta Europa: serviva la stampa riproduttiva. Da parte imperiale, ci si preoccupò di commemorare l'accaduto commissionando così le serie di incisioni raf-figuranti la Cavalcata di Carlo e di Clemente VII dopo l'incoronazione eseguite da Robert Péril e da Nikolaus Hogenberg. Entrambe eseguite e stampate in prima edizione nel 1530, sono accomunate dalla mancanza di qualsiasi accenno descrittivo dei luoghi, essendo centrale la preoccupazione di documentare la presenza dei personaggi politica-mente più illustri.

Dell'incisione di Péril conosciamo almeno due edizioni originali, la più nota e riprodotta è quella di Anversa (fig. 7). Si tratta di una silografia di 24 tavole di 290x268 mm circa, composte in due fasce sovrapposte, ciascuna di 12 tavole40.

Particolare, per comprendere l'alta considerazione che di sé aveva l'artista, è la scelta di farsi ritrarre nella tredicesima scena. Robert Péril è in questi anni al servizio della zia dell'imperatore, l'arciduchessa Margherita d'Asburgo, reggente dei Paesi Bassi, e conserverà sempre un rapporto privilegiato con gli Asburgo che gli commissioneranno nel 1536 la genealogia figurata della casata, anche in questo caso una stampa di lun-ghezza spropositata: ben 7 metri e mezzo.

Lungo i margini superiori e inferiori delle due fasce sono presenti iscrizioni in latino e relative traduzioni francesi, illustranti i propositi di riforma dei domini imperiali narrati in prima persona. Ad alcuni storici questi testi sono sembrati assai simili ad alcuni passi contenuti nel De Duplici Coronatione Caroli V…, sorta di Pontificale da parte imperiale, opera del filosofo di corte Henrico Cornelio Agrippa, a conferma della portata ufficiale di questa incisione41. Non è casuale, pertanto, che nella prefazione a questo testo, Agrippa citi esplicitamente, ringraziandola, Margherita che, a queste date, assume sempre più il ruolo di organizzatrice della propaganda imperiale42.

Non dissimile, la serie incisa da Nikolaus Hogenberg, senz'altro la più nota e riprodotta delle due (fig. 19). Se ne conoscono alcuni esemplari, ma quella più antica pare essere quella conservata al Museo Civico di Urbania, completa anche delle iscrizioni poste nella parte superiore, nonostante l'imperfetto stato di conservazione43. Le scene sono quaranta, incollate l'una all'altra a formare un fregio di 118 cm, nel quale il lungo corteo si muove in uno spazio irreale, senza alcuna descrizione ambientale (eccezion fatta per la prima stampa ove si vede uno degli archi), concludendosi con il momento della preparazione del bue farcito di cacciagione ricordato da molte delle fonti locali e non, e con i soldati imperiali che distribuiscono cibo al popolo.

L'esemplare di Urbania, probabilmente, faceva in origine parte delle collezioni di Francesco Maria I Della Rovere. Il Signore di Pesaro vi è infatti raffigurato, precisamente nella XXV scena, immortalato mentre assolveva al compito cui si accennava prima: portare la preziosa spada imperiale44.

Il successo di queste due serie, specie quella di Hogemberg, è realmente impressionante, specie nel seconda metà del Cinquecento: ogni futura rappresentazione della vicenda, da quella scomparsa nella Villa il Tuscolano vicino Bologna, a quelle veronesi di Palazzo Ridolfi e Verona nei palazzi Ridolfi e Fumanelli, si baseranno su una delle due incisioni, specie su quella di Hogemberg.

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Fig.19. N. Hogenberg, Il corteo trionfale di Carlo V (part.), 1530 Urbania, Museo Civico, particolare

Un tentativo di iconocrazia papale

Da parte papale invece? L'evento non sembra essere stato vissuto con particolare entusiasmo. Lo prova il fatto che non si ricordano commissioni di Clemente VII tese a rinnovare la memoria dell'incontro, eccezion fatta per il rilievo che Baccio Bandinelli pose sulla cimasa del Sepolcro di Clemente VII in Santa Maria Sopra Minerva. In quanto sovrano della cristianità, di certo, il Papa aveva ben poco da rimarcare; in quanto Medici, com'è noto, la situazione era decisamente diversa, e non è un caso che l'avvenimento bolognese sia stato raffigurato in seguito per ben due volte in Palazzo Vecchio: nella volta della sala di Clemente VII ad opera di Vasari, che dedicò ai due protagonisti anche un doppio ritratto, e nella sala Sala delle Udienze, ad opera di Baccio Bandinelli e Giovanni Caccini45.

Se non si ricordano commissioni dirette del papa Medici tese a celebrare l'evento, esistono però elementi concreti per ipotizzare che il Papa, in qualche modo, intendesse commemorare la Pace di Bologna. Mi riferisco al bellissimo disegno del British Museum di Sebastiano del Piombo (fig. 20), una delle più affascinanti raffigurazioni dei due sovrani riuniti in un'unica scena46.

fg20

Fig.20. Sebastiano del Piombo, Doppio ritratto di Clemente VII e Carlo V, 1529 Londra, British Museum

La scena che il disegno descrive si configura come un raro accostamento tra i due sovrani. Non è la celebrazione dell'incoronazione a essere effigiata, ma un evento politico particolarmente caro al papa Medici: vale a dire, la cosiddetta Pace di Bologna, sancita il 23 dicembre del 1529 dopo settimane di conciliaboli e di incontri in Palazzo Pubblico.

I due protagonisti sono rappresentati seduti dietro un tavolo mentre paiono distribuirsi le rispettive pertinenze sul mondo. Sullo sfondo, quasi nascoste da una sorta di sipario, sono poste la tiara papale e la corona aurea, mentre attorno ai due è attiva una schiera di personaggi più o meno identificabili. Il significato politico del disegno è più che chiaro: celebrare l'avvenuta pace tra Papa e Imperatore, evidenziandone la rinnovata unione. Ma c'è di più, il disegno pare testimoniare una realtà che non coincide con quella degli eventi. Il ruolo del protagonista è riservato al Papa, quasi al centro della composizione, con la mano destra posta sulle carte aperte, con l'altra rivolta verso il globo terrestre che uno dei personaggi pone all'attenzione dei due sovrani. è lui il "regista", colui che "detta le condizioni", che dispone i nuovi confini dell'Italia: il sovrano asburgico, con la mano sul petto, accetta tutto con serena rassegnazione. Il suo volto è, peraltro, ritratto con una veemenza espressiva quasi selvaggia che ne fa una delle descrizioni figurative dell'Imperatore meno rispettose che la storia dell'arte abbia mai conosciuto.

Come già Michel Hirst faceva notare, il disegno londinese trasmette quindi un messaggio politico e storico tutt'altro che verosimile. Si tratta di un «falso storico» confezionato ad arte per compiacere Clemente VII, evidentemente cosciente del fatto che «ciò che i ritratti registrano non è la realtà quanto un'illusione sociale»47. Questo toglie ogni dubbio sull'ambito di committenza in cui il foglio fu generato, aprendo, al contempo, avvincenti squarci sulla presenza di Sebastiano del Piombo a Bologna in quei mesi. Non essendoci infatti dubbi sulla autografia, molti degli studiosi dell'artista veneto concordano nel collocare la rappresentazione grafica proprio nei mesi del consesso bolognese, anche perché, a guardare le documentazioni a disposizione, mancano attestazioni esplicite della presenza a Roma del pittore tra la fine del 1529 e l'inizio del 153048. è un dato di fatto che lo speciale privilegio di cui Sebastiano godrà in seno al papa Medici all'inizio del quarto decennio del secolo (e che lo porterà ad assumere la carica di piombatore pontificio nel 1531) viene a consolidarsi negli anni tra il 1527 e il 1530. All'indomani del Sacco, infatti, Sebastiano condivide con il Papa le settimane di prigionia in Castel Sant'Angelo, partecipe dei dolori e del trauma per quegli eventi sconvolgenti, fornendoci una delle più intense testimonianze dello sconforto del «disperato papa Clemente» intento ora a mangiare «più presto pane de dolori che vivande magnifiche»49. Sono i mesi in cui, come attestano ancora le lettere di Sebastiano a Michelangelo, si salda il particolare rapporto di privilegio ritrattistico che lega Sebastiano al papa Medici, al punto di diventarne un vero ritrattista ufficiale50.

Il foglio ha una larghezza di ben 46 cm, dimensioni troppo monumentali per uno studio generico, ma ben consone a un «foglio da presentazione» da mostrare al committente o al potente cui si intendeva rendere omaggio. Per di più, il disegno è estremamente rifinito e presenta persino tracce di quadrettatura. Ne consegue che questo progetto deve esser nato per essere visto da qualcuno, non solo dall'artista: da Carlo come omaggio del Papa, dal Papa stesso come omaggio dell'artista o come commemorazione del-l'evento.

Tuttavia, associarlo al dicembre del 1529 crea apparentemente qualche difficoltà. Sappiamo ormai bene che nel dicembre del 1529 l'Imperatore non aveva più i capelli a caschetto e quindi è impossibile che Sebastiano potesse ritrarlo dal vivo in questo modo dopo averlo visto. Del resto, è altrettanto difficile che l'artista potesse eseguire un simile ritratto dopo l'evento bolognese, in quanto la massiccia campagna d'immagine condotta da Carlo in occasione del febbraio del 1530 non consentiva più a nessuno, men che mai ad un'artista della corte papale, di compiere errori simili. La cosa più strana è che l'immagine di Carlo realizzata da Sebastiano si muove a metà tra l'effigie nota dell'Asburgo nel 1529 (caschetto e barba) e il vestiario all'italiana che tanto veniva descritto dai cronisti italiani che lo avevano incontrato, specialmente in merito all'inseparabile berretto di velluto. Sebastiano, pertanto, sembra aver agito in assenza del mo-dello tra forme visive a lui note e descrizioni verbali dell'Imperatore. A questo punto restano poche vie: la più probabile è che questo disegno sia stato realizzato, con un occhio ai ritratti del '29 e un altro ai dispacci degli ambasciatori, anteriormente al primo incontro con l'Imperatore in previsione del dono diplomatico di un dipinto dal sapore propiziatorio. Meno probabile, per le considerazioni esposte prima, che esso sia stato realizzato da Sebastiano lontano da Bologna e lontano dal tempo dell'incoronazione.

Meno probabile anche perché molte altre informazioni inducono a legare ulteriormente il nome di Luciani a Bologna. Ma non entro in questa tematica ora perché ci porterebbe lontano. Mi accontento, per ora di aver ricollocato a ridosso dell'arrivo di Cesare la presenza a Bologna Sebastiano del Piombo e di aver rievocato questo curioso esperimento iconocratico irrealizzato.

 

NOTE

1 L. Alberti, Historie di Bologna (1479-1541), a cura di A. Antonelli, M.R. Musti, Costa Ed., Bologna 2006, vol. II, p. 573.

2 Ho avuto più volte modo di definire lo studio dell'incoronazione di Carlo dal punto di vista storico-ar-tistico un vero e proprio «inventario delle cose che mancano», un registro delle assenze, in «Progetti per ico-nografie mai realizzate», in E. Pasquini, P. Prodi (a cura di), Bologna nell'età di Carlo V e di Guicciardini, atti del convegno internazionale (Bologna, 19-21 ottobre 2000), il Mulino, Bologna, 2002, p. 203, ed in Il ferro e l'oro. Carlo V a Bologna (1529-30), Ed. Compostori, Bologna 2007, p. 13.

3 F. Checa Cremades, Carlos V: la imagen del poter en el Renacimiento, Iberdorla, Madrid 1999, passim; Sassu, Il ferro cit., passim. Sul concetto di Iconocrazia: G. CascioneIconocrazia. Comunicazione e politica nell'Europa di Carlo V. Dipinti, emblemi e monete, appendice di R. Martini, Ed. Ennerre, Milano 2005. Un perfetto esempio di iconocrazia è costituito, come si diceva poco sopra, dagli apparati effimeri allestiti per le entrate trionfali di Clemente VII e Carlo V (novembre-dicembre 1529) e per la cavalcata trionfale seguita all'incoronazione (24 febbraio 1530). Purtroppo, l'assenza di testimonianze visive e la complessità del tema obbliga ad evitare di trattare l'argomento in questo contesto, anche se, in qualche modo, andrebbe tenuto sullo sfondo per la ricchezza e la pregnanza iconografica, un momento che vide Bologna farsi teatro di speri-mentalismo sul piano dell'effimero. Cfr. Sassu, Il ferro cit., pp. 27-48, 66-81.

4 S. de Madariaga, Carlos V, Grijalbo, Barcelona 1995 [prima ed. Paris 1969], p. 14. Espongo qui di seguito con qualche variante quanto esposto in Sassu, Il ferro cit., pp. 82-95.

5 Riprodotto in H. Soly, W.P. Blockmans (a cura di), Karl V. 1500-1558 und sein Zeit, Dumont, Köln 2000, p. 38; analizzato, fra gli altri, da K. Schütz in W. Seipel (a cura di),Kaiser Karl V (1500-1558): Macht und Ohnmacht Europas, cat. della mostra di Vienna e Madrid, Skira, Milano 2000, cat. 6, p. 113.

6 Sulla rappresentazione del prognatismi di Carlo V, si veda quanto espone D.H. Bodart,L'immagine di Carlo V in Italia tra trionfi e conflitti, in F. Cantù, M.A. Visceglia (a cura di), L'Italia di Carlo V. Guerra, religione e politica nel primo Cinquecento, Atti del convegno internazionale di studi (Roma, 5-7 aprile 2001), Viella, Roma 2003, pp. 115-138.

7 Madrid, Biblioteca Nacional. Fra gli altri pubblicato da L. Schmitt in Seipel, op. cit., pp. 142, cat. 56.

8 «Plus Ultra», o, in origine, «Plus Oultre»: ogni manifestazione pubblica, ogni riferimento a Carlo V doveva recare con sé lo stemma elaborato dall'umanista milanese Luigi Marliano, medico dell'allora sedicenne sovrano. La sua prima comparsa, non a caso, riguarda una cerimonia pubblica, una festività solenne: Bruxelles, 31 luglio 1516, festa del Toson d'Oro, altro simbolo pregno di significati dal quale l'Asburgo non si separerà mai. Earl Rosenthal ha chiarito da tempo i connotati e l'evoluzione della «Divisa Imperial»rappresentata dal Plus Ultra: la sua comparsa in un contesto erasmiano di costruzione dell'impero universale cristiano, la sua declinazione in termini esplicitamente anti-turchi nel corso degli anni Venti, il mito della Terra Santa (cui la fondazione del Toson d'Oro faceva chiaro riferimento) e la condensazione della prudenza e della forza nel simbolo di Ercole che regge le colonne. La «divisa» dell'imperatore diviene così simbolo della stessa presenza imperiale, laddove era necessario segnare con chiarezza il territorio (su mura, porte di città e così via, come succede nella Milano post sforzesca e post francese), o la provenienza di editti, dispacci, bolle. Si veda: E.E. Rosenthal, «Plus Ultra, Non Plus Ultra, and the Columnar device of Emperor Charles V», Journal of the Warburg and Coultauld Institute, 34, 1971, pp. 204-228; ma anche «The Invention of the Columnar device of Emperor Charles V at the Court of Burgundy in Flanders», Journal of the Warburg and Coultauld Institute, 36, 1973, pp. 198-230.

9 I vari conii sono stati esposti in tutte le mostre del 2000, cito per mia comodità K. Schulz in Seipel, op. cit., p. 156, cat. 75.

10 Una delle quali è ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna, cfr. Cfr. Seipel, op. cit., p. 132, cat. 38. Simili riflessioni si possono fare per i tre o quattro ritratti in terracotta, spesso dipinta, che Carlo V fa realizzare in questo frangente ad artisti tedeschi come Conrad Meit, cfr. Seipel, op. cit., pp. 131-132, cat. 37.

11 Il legame fisico con Carlo Magno è presente anche nella tunica che il giovane Carlo indossò durante la cerimonia d'incoronazione del 1520. Frutto di una manifattura fiamminga della seconda metà del Quattrocento, essa fu indossata dal suo predecessore, Sigismondo, il quale la riteneva (o meglio, fece di tutto per farla ritenere) dei tempi di Carlo Magno, cfr. La fiesta en la Europa de Carlos V, cat. della mostra, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V, Madrid 2000, p. 45

12 Inv. 4405, cfr. la scheda di R. Distelberger in Seipel, op. cit., cat. 354, pp. 319-321; riprodotto anche in Soly-Brokmans, op. cit., p. 123.

13 L'opera è analizzata nel terzo paragrafo di questo scritto.

14 Ogni descrizione di Carlo V in Italia nel mesi tra il 1529 e il 1530 cita il berretto di velluto nero che l'Imperatore portava sempre con sé. Cito, a titolo esemplificativo, la testimonianza di Agostino Foscari del 5 novembre 1529 o di Marco Maio risalente agli stessi giorni in M. Sanudo, Diarii (1496-1533), a cura di M. Allegri, N. Barozzi, G. Berchet, R. Fulin, R. Strefani, Venezia 1898, vol. LII, coll. 185, 275. 95.

15 Per il quale si veda K. Schütz in Seipel, op. cit., pp. 313-314, cat. 345; ma anche l'interessante articolo di P.G. Matthews, «Jakob Seisenegger's portraits of Charles V, 1530-32», Burlington Magazine, 143, 2001, pp. 86-90.

16A. Kranz in Seipel op. cit., pag. 310, cat. 342.

17 Si veda oltre al secondo paragrafo.

18 Sulle medaglie di Bernardi e Gebel: K. Schulz in Seipel, op. cit., pp. 161-162, catt. 80-81. L'iscrizione intorno alla circonferenza: CAROLVS V IMP[erator] BONON[iae] CORONATVS MDXXX. Si veda anche W. Eisler, «Carlo V a Bologna e i suoi rapporti con gli artisti del tempo», Il Carrobbio, 6, 1981, p. 144. Nel molto ben informato studio di W. Cupperi, «La riscoperta delle monete antiche come codice celebrativo», Saggi e memorie di storia dell'arte, 26, 2002, pp. 31-85, si propone di aggregare questo microritratto ad altri lavori di Alfonso Lombardi, in base a molte considerazioni che sfociano nella proposta che, a partire dal 1530, si debbano allo scultore ferrarese i modelli per le medaglie fuse, al Bernardi invece quelle coniate. L'ipotesi è senz'altro affa-scinante, verosimile e ben argomentata, ma i legami stilistici che Cupperi istituisce sono, ai miei occhi di non specialista, attinti da materiali così diversi per materia (bronzo, terracotta, stucco) e per dimensioni (me-daglia, statua monumentale) da essere improponibili. Per quanto attiene il ducato d'argento, un esemplare di questa emissione è al Museo Civico Archeologico di Bologna. Che sia questa una di quelle lanciata tra la folla durante la processione post-incoronazione lo prova la descrizione della Prima e seconda coronazione di Carlo V…, Bologna 1530 (ora in Righi, op. cit., p. 37): «da una banda [avevano] lo ritratto di Sua Maestà incoronata e scritto: Carolus Quintus. Dall'altro canto erano due colonne, impresa di Sua Maestà, e scritto in mezzo 1530». Cfr. anche Cupperi, op. cit., pp. 38-40. M. Dandolo lodò molto la somiglianza di questa moneta nella sua celebre lettera a L. Priuli, cfr. Righi, op. cit., p. 102.

19 Riprodotto da K. Schütz, "Karl V und die Entstehung des höfischen Porträts", e da A. Kranz in Seipel, op. cit., rispettivamente pp. 57, 310, cat. 341.

20 Soly-Blockmans, op. cit., p. 85. Le sembianze di Carlo sono qui identiche a quelle scolpite da Jean Mone nel rilievo in alabastro che raffigura l'imperatore assieme alla moglie Isabella (Gaasbeek, Kasteel van Gaasbeek). La data 1526 non ritengo si riferisca all'esecuzione dell'opera, ma commemori in un momento successivo il matrimonio tra i due.

21 Sull'importanza delle descrizioni fisiche nella diplomazia di quegli anni cfr. G. Benzoni, “Dipingere i personaggi: i ritratti nelle relazioni degli ambasciatori veneti”,Eidos, 9, 1991, pp. 69-77.

22 Proseguendo «et è di piccola persona, come mi, et pende un poco inanti, de volto picolo et longo, de barbuto pur aguzo, et per continuo porta la bocca aperta». Copia di una lettera del il 17 agosto del 1529 in Sanudo, op. cit., vol. LI, col. 371.

23 Lettera anonima del 5 novembre 1529 in Sanudo, op. cit., LII, col. 196.

24 Citato da V. Cadenas y Vicent, Doble coronación de Carlo V en Bolonia: 22-24/II/1530, Hidalgua, Madrid 1985, pp. 127-128. Il corsivo è mio.

25 Carlo V si impossessava così del «sé idealizzato»; sul concetto applicato alla tematica del ritratto di stato cfr. P. Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Carocci, Roma 2002, pp. 78- 80 (trad. di Eyewitnessing. The Use of Images as Historical Evidence, London 2001). L'instabilità dell'immagine di Carlo attorno al 1530 è perfettamente sintetizzata dalle preziose miniature che ornano il suo Breviario (Bi-blioteca del Real Monasterio del Escorial), dove egli appare contemporaneamente con i capelli alla borgognona e con l'acconciatura alla Cesare (si veda Checa Cremades, op. cit., pp. 86-87). Altro esempio di iconografia realizzata con l'imperatore in assenza e quindi con il vecchio taglio di capelli a caschetto è rappresentato dallo splendido camino ligneo di Bruges del 1529.

26 K. Schütz, «Karl V und die Entstehung des höfischen Porträts», e S. Ferino-Pagden in Seipel, op. cit., rispettivamente p. 61, e p. 161, cat. 79; G.M. Borrás Gualis, J. Criado Mainar, “Entre Italia y España: les ecos artisticos de la coronación imperial de Bolonia”, inLa Imagen Triunfal del Emperador. La jornada de la corona-ción imperial de Carlo V en Bolonia y el friso del Ayuntamiento de Tarazona, cat. della mostra, Madrid 2000, p. 34. Per una sconfessione dell'autografia si veda Sassu, Il ferro cit., pp. 107-113, con bibliografia precedente.

27 Cfr. ora S.W. Pyhrr, J.A. Godoy, S. Leydi (a cura di), Heroic Armor of the Italian Renaissance Filippo Negroli and his Contemporaries, cat. della mostra, Metropolitan Museum of Art, New York 1998, pp. 125-131, cat. 20, con buona bibliografia precedente.

28 Ma un «Imperator invicte» non poteva non essere raffigurato a cavallo. Nel 1530 a Bologna si provvide anche a questo e ben prima del ritratto di Tiziano del 1548 del Prado. Mi riferisco al misteriosissimo ritratto equestre che fu esposto probabilmente nel cortile di Palazzo Comunale di cui resta traccia in un epigramma composto da Henrico Cornelio Agrippa, su tutto questo rimando al mio Il ferro cit., pp. 94-95

29 Non si realizzò mai uno dei propositi più ambiziosi portato avanti dai bolognesi e dall'imperatore per qualche anno poi abbandonato: la decorazione della cappella di San Maurizio in San Petronio, che doveva essere ornata da Parmigianino e Alfonso Lombardi, cfr. Sassu, Il ferro cit., pp. 139-142.


30 La maravillosa coronaciòn del Invictissimo Caesar Don Carlos Emperador y Rey nuestro Señor: de las coronas que faltavan de Hierro y de Oro en la Cibdad de Bolonia por manos del papa Clemente séptimo, Imprimito por Bartolomé Péerez, Sevilla s.a. [ma 1530]; la silografia del frontespizio è formata da sette pezzi diversi, mm 265x168. Iscrizioni: nella sommità «AVDACES FORTUNA AIVVAT PETRVS SALVAREZ»; nella scena centrale il titolo; riprodotta in La Imagen Triunfal cit., p. 75. Cfr. anche M.A. Santiago Paéz (a cura di), Los Austrias. Grabados de la Biblioteca Nacional, cat. della mostra, J. Ollero, Madrid 1993, pp. 95-96, cat. 74; Sassu, Progetti cit., p. 514; J. Portùs Pérez in La fiesta cit., pp. 271-272, scheda 7; R. Wohlfeil, «Retratos gráficos de Carlos V al servicio dela representacióny la propaganda», in A. Kohler (a cura di), Carlos V / Karl V 1500-2000, atti del convegno (Vienna 7-11 marzo 2000), Soc. Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos V, Madrid 2001, p. 321, nota 91.

31 V. Díaz Tanco, Triumpho real magno sobre la rutilante coronación primiera del Cesar Carlo monarcha quinto desde nombre…, s.l. 1530, copia consultata a Madrid, Biblioteca Nacional, raros 9096-11; la silografia che raffigura l'incoronazione è di mm 265x168, cfr. Santiago Paéz, op. cit., p. 96, cat. 75. Sulla figura di Diaz Tanco cfr. A. Rodriguez-Moñino,«Vasco Dìaz Tanco. Témoin et chroniquer poétique du Couronnement de Charles Quint», in J. Jacquot (a cura di), Fêtes et Cérémonies au temps de Charles Quint, IIe Congrès de l'Association Internationale des Historiens de la Renaissance (2e Section), Paris 1960; ed. cons. in J. Jacquot (a cura di), Les Fêtes de la Renaissance, II, Fêtes et Cérémonies au temps de Charles Quint, Centre National de la Recherche Scientifique, Paris 1975, pp. 183-195, per il testo in oggetto pp. 192-193.

32 Le si trovano riprodotte a coll. 653-656 in Sanudo, op. cit., LII.

33 Si legga trasversalmente la raccolta curata da Righi, op. cit.passim. Sulla somiglianza della corona imperiale con la tiara papale in età medievale si veda ora M. Folin in S. Settis, W. Cupperi (a cura di), Il Palazzo Schifanoia a Ferrara, Panini, Modena 2007, pp. 228-230.

34 Per Dauson a Bologna cfr. L. Gonzaga, Cronaca del soggiorno di Carlo V in Italia (dal 26 luglio 1529 al 25 aprile 1530), ed. a cura di G. Romano, Milano 1892, p. 7. Per il costo della corona, cfr. A. Agelelli in Libri Segreti, sec. XVI, Archivio di Stato di Bologna, Archivio dello Studio, Collegi Legali: libri segreti del Collegio Canonico, I, 127 (1528-1530), c. 29r.

35 A parte i casi di illustrazione libraria, non esiste una raffigurazione "pittorica" o "scultorea" dell'incoronazione imperiale, essendo sfumata anche la grande occasione relativa alla decorazione della cappella di San Maurizio in San Petronio, che Parmigianino e Alfonso Lombardi dovevano realizzare. Accanto a questa grande occasione perduta esistono però tracce importanti in due disegni che si possono far risalire a quegli anni. Il primo è conservato nelle collezioni del Nationalmuseum di Stoccolma ed è noto da tempo come Cle-mente VII che incorona Carlo V (inv. 810/1863), già attribuito ad Amico Aspertini, poi deviato da chi scrive nell'ambito di Lorenzo Costa da vecchio. Il secondo, ben più chiaro nell'iconografia e nello stile, è attribuito a Biagio Pupini ed è conservato al Louvre (inv. 8868). Ho proposto in altre occasioni di considerare questo disegno come una delle poche testimonianze sopravvissute del contatto intercorso tra l'artista felsineo e Fran-cisco de los Cobos y Molina (1477-1547), segretario di Carlo V poi segretario di Stato, in previsione della decorazione del palazzo di Valladolid. Colpito nei giorni bolognesi dagli affreschi realizzati in San Salvatore da Pupini e Bartolomeo Ramenghi, il potente diplomatico spagnolo stringe contatti con i due proponendo loro un contratto, con tatto di clausole vessatorie, che non verrà però mai firmato dai due artisti. Per tutto quanto esposto in questa nota rimando a Sassu, Il ferro cit., pp. 71-77, 135-136.

36 B. Martinelli, Diariorum Cerimonialium Biasii Baronii de Martinellis de Caesena U.I.D. et Cerimoniar.Apostolicar. Magistri. Tomus primus. Resgestas ad sacres coerimonias pertinentes… Ab anno 1529 usque ad annum 1532, Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. Lat. 12421, c. 207v.

37 Riportato da Sanudo, op. cit., vol. LII, coll. 650-651.

38 Fra le cronache più sensibili a questo aspetto si può senz'altro citare la Prima e seconda coronatione cit., ora in Righi, op. cit., pp. 15-18.

39 La delibera è pubblicata da M. Chimienti, «La moneta bolognese d'argento da Giulio II a Paolo V», La Numismatica, VI, 1985, p. 8.

40 La serie di Anversa è inventariata col n. V.IV.1.3. All'Albertina di Vienna (inv. Cim. Kasten. Falch. I, 18 [1-23]), altro esemplare non colorato. Sull'attività di Péril e sull'edizione belga di questo lavoro cfr. L. De Burbure, «Robert Péril, sa vie et ses ouvrages», Bulletin de l'Academie Royale de Belgique, II sér., 27, 1869, pp. 324-337. La serie carliana è stata riprodotta innumerevoli volte, specie nel contesto delle diverse mostre del 2000; l'analisi migliore e più completa è senz'altro quella di J. Criado Mainar in La Imagen cit., pp. 257-262, cat. 2. Ma si veda anche Ch. von Heusinger, «Einige Bemerkungen zur Editionsgeschichte des Triumphzugs Kaiser Karl V. und Papst Clemens VII... », Jahrbuch der Berliner Museen, N.F. 43, 2001 (ma 2003), pp. 63-108.

41 Rimando alla ricca scheda di J. Criado Mainar in La Imagen cit., pp. 257-262, cat. 2, per l'identificazione dei personaggi raffigurati e per la trascrizione delle singole iscrizioni nonché a Sassu, Il ferro cit., pp. 77-81. Il riferimento è al testo di H.C. Agrippa, De Duplici coronatione Caroli V Caesaris apud Bononiam, Anvers 1530, nuova ed. Basilea 1574.

42 F. Bosbach, «Concepción imperial e imagen pública de Carlos V en su coronación en Bolonia», in Kohler, op. cit., p. 360.

43 Parzialmente o integralmente riprodotta centinaia di volte. Si consultino almeno F. Paoli (a cura di), Il trionfo di Carlo V 1530. Storie di stampe ducali dal ritrovamento al restauro, cat. della mostra, s.e., Urbania 1991, e, più di recente, J.T. Spike (a cura di), Il corteo trionfale di Carlo V. Un capitolo del Rinascimento in un'acquaforte delle collezioni roveresche, cat. della mostra, Ed. Biblioteca e Civico Museo di Urbania, Urbania 1999. La serie è analizzata ultimamente da G.M. Borras Gualis e J. Criado Mainar in La Imagen cit., pp. 275-277, cat. 3 e da Sassu, Il ferro cit., pp. 77-81.

44 Anche se poi è raffigurato con il viso spostato di lato, semi nascosto, quindi con nessun intento ri-trattistico. I principi incaricati di portare i simboli imperiali, oltre a Della Rovere, furono Carlo III duca di Savoia (corona), Filippo duca di Baviera (globo) e Bonifacio IV Paleologo marchese di Monferrato (scettro). Il legame del Della Rovere con gli eventi felsinei è documentato dall'affresco della sala dei Semibusti all'Im-periale di Pesaro raffigurante l'entrata in San Petronio di Carlo V. Sul rapporto Francesco Maria I e l'incisione di Urbania cfr. B. Cleri, «Il trionfo di Carlo V ovvero il trionfo di Francesco Maria I della Rovere», in Paoli, op. cit., pp. 11-13.

45 Per quanto ricordato e per quanto si andrà esporre cfr. Sassu, Il ferro cit., pp. 119-123, dal quale riprendo alcuni dei passi sotto riportati.

46 Sebastiano del Piombo, Doppio ritratto di Clemente VII e Carlo V, Londra, British Museum, inv. 1955-2-12-1, gessetto nero e bianco su carta grigia acquerellata, mm 310x462. Sul disegno si veda Ph. Pouncey, J.A. Gere, Raphael and His Circle. Italian Drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum, British Museum, London 1962, p. 167, cat. 279; M. Hirst, Sebastiano del Piombo, Oxford University Press, New York 1981, pp. 108-109. Sin dal 2000 ho riproposto, senza grande fortuna a dire il vero, il disegno nel contesto imperial-bolognese: Sassu, Aspetti cit., pp. 243-246, poi in Progetti cit., pp. 505-514, ed infine in Il ferro cit., pp. 119-123. Si veda anche F. Checa, M. Falomir, J. Portús, Carlos V: retratos de familia, Sociedad Estatal para la Conmemoración de los Centenarios de Felipe II y Carlos, Madrid 2000, pp. 162-163; D.H. Bodart, «L'immagine di Carlo V in Italia tra trionfi e conflitti», in Cantù-Visceglia,op. cit., pp. 133-135; e da ultimo P. Joannides in Sebastiano del Piombo (1485-1547), cat. della mostra, Motta, Milano 2008, pp. 328-329.

47 Burke, op. cit., pp. 32-33. Per il disegno come falsificazione storica si veda Hirst, op. cit., p. 109.

48 è questa l'opinione di Pouncey e Gere, op. cit., p. 167 cat. 279 (presenza di Sebastiano data per certa, esecuzione del disegno subito dopo l'incoronazione, ma non necessariamente a Bologna); di Hirst, op. cit., pp. 109-110, 126, 138; e anche di C. Gould,Parmigianino, Mondadori, Milano 1994, pp. 118- 120. Il soggiorno bolognese è dato per implicito anche da M. Lucco, Sebastiano del Piombo, catalogo completo, Rizzoli, Milano 1980, p. 122. L'ipotesi di Sebastiano a Bologna «andrebbe rivista con grande cautela» secondo D.H. Bodart, Tiziano e Federico II Gonzaga: storia di un rapporto di committenza, Roma 1998, p. 129, nota 399, che non considera il disegno del British Museum un documento valido degli anni 1529-30 per via del-l'aspetto di Carlo V. Infine, va segnalata l'ipotesi di Joannides, in Sebastiano cit., p. 328, per il quale il disegno potrebbe essere stato realizzato nel 1534 sulla base di appunti però presi nel 1529-30. è opportuno ricordare che nei documenti Sebastiano del Piombo ricompare a Roma solo nel giugno del 1530, quando Vittorio Soranzo scrive a Pietro Bembo per magnificare l'uso del pittore di dipingere a olio sulla pietra, tecnica che «farà la pittura poco meno che eterna »; cfr. Lucco, op. cit., p. 88.

49 Citazioni tratte dalle due lettere indirizzate dal Luciani a Pietro Aretino in quei giorni del 1527; cfr. Lettere scritte al signor Pietro Aretino…, Venezia 1551, I, pp. 11-13; cfr. inoltre Lucco, op. cit., p. 88, e Hirst, op. cit., p. 89.

50 Esempi del suo status di ritrattista papale in Sassu, Il ferro cit., p. 120.

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