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30 Giugno 2021

Cyber security e spazi di sovranità: implicazioni geografico-politiche e globalizzazione digitale


di Umberto Marzo e Giuseppe Cascione

Iconocrazia 19/2021 - "Bivi europei e questioni tecno-politiche", Saggi




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Introduzione

L’ultimo decennio è stato caratterizzato dall’affermarsi di forme di globalizzazione cosiddette disembodied – ovvero della crescita della portata di flussi transnazionali di idee, informazioni e immagini – a discapito di processi globalizzanti “più tradizionali”. Tale processo – che ha subito un’ulteriore accelerazione nel corso della crisi pandemica del 2020 – ha condotto alla riconfigurazione di una dimensione spaziale, al contempo virtuale e fisica, che prende il nome di cyberspazio (termine spesso utilizzato come sinonimo di ‘Internet’). Questo è stato percepito, sin dal suo esordio, come un mondo privo di confini, nel quale le barriere spaziali scompaiono in funzione di rapidi collegamenti digitali da una parte all’altra del pianeta. Nel progredire del processo di globalizzazione non sorprende, dunque, come lo spazio cibernetico abbia costituito l’ideale palcoscenico per l’istituzione di efficienti collegamenti economici, giocando un ruolo primario nel favorire la creazione di quelle interdipendenze di mercato tipiche del mondo globalizzato. Sul piano politologico, tuttavia, ciò ha comportato nuove sfide da affrontare per gli Stati sovrani, identificando in primis uno spazio del tutto nuovo e dalle caratteristiche peculiari cui doversi adattare e definendo, inoltre, una nuova fonte di potenziali minacce dal quale imparare a difendersi. Il presente contributo intende affrontare il complesso rapporto tra sovranità e cyberspazio e, in particolare, quei problemi legati alla sicurezza nell’ambiente virtuale da una duplice prospettiva. Da un lato, ci si propone di riflettere sul piano teorico circa le conseguenze di tali processi sul concetto di sovranità e sul suo carattere inerentemente spaziale. Dall’altro, attraverso l’analisi dell’esperienza statunitense e di quella cinese, lo studio punta a far emergere la diversità di concezioni e approcci sul tema del cyberspazio e della sicurezza.

Sovranità tradizionale e cyberspazio

Concentrandoci sulla prospettiva di Stato, definire gli spazi fisici propri del concetto di sovranità ha già di per sé condotto a profonde riflessioni nel tempo. Tra il XII e XIII secolo, l’affermarsi del principio universalmente noto rex in regno suo est imperator ha fatto sì che si abbandonasse l’idea utopica dell’impero universale che per lungo tempo si era tentato invano di perseguire e tale paradigma, in seguito ulteriormente esteso al concetto di civitas sibi princeps, ha definito le due componenti fondamentali per mezzo delle quali la sovranità può affermare ed esercitare se stessa: «supreme authority and territory» (Bartelson 2018, 510). A tal proposito, altri studiosi hanno posto in evidenza che«there are a bundle of properties associated with sovereignty-territory, recognition, autonomy, and control that characterize states in the international system» (Franzese 2009, 8).

Per lungo tempo, il territorio di riferimento si è configurato all’interno di spazi fisici rigidamente riconoscibili e idealmente controllabili e, pertanto, il concetto di sovranità poteva abbracciare forme di stampo tellurocratico o thalassocratico. Così, lo stesso elemento geografico rappresentava un fattore di estrema importanza tanto nel definire il perimetro entro il quale gli stati sovrani potessero governare, quanto nel distinguere con chiarezza il “noi” dal “loro”, la sicurezza dalla minaccia: «[…], the geographic setting given by the national borders constituted, in its essence, an important border line between “internal stability” and the possibly “disturbing” exterior, even beyond the end of the postmodern period of the ‘90s’» (Popa 2014, 414).

Con la nascita dello spazio virtuale, per sua natura fluido e in cui ogni cosa è interconnessa, difficilmente separabile dall’altra, è stata posta un’importante sfida all’organizzazione degli Stati nazionali, ovvero quella di adattare il tradizionale concetto di sovranità al cyberspace, tentando di fissare norme e di istituire organismi di controllo affinché l’autorità potesse continuare ad esercitare se stessa mantenendo saldi gli equilibri e le relazioni di carattere internazionale.

We are at the beginning of a growing period of dominance of cyberspace in international relations, their contouring in the near future being highly probable even if “cybernetocracy” is still relatively far from the foreground of the telurocracy and, respectively, of thalassocracy (Ivi, 414).

Gli elementi sopra esposti hanno portato sempre più studiosi ad analizzare il fenomeno dell’evoluzione digitale in chiave geopolitica, facendo emergere diversi interrogativi. Il mantenimento di limiti concettuali è territoriali tradizionalmente associato al concetto di sovranità nazionale è compatibile con un cyberspazio interconnesso e indipendente? (Ayers 2017, IX). Possono, dunque, gli Stati sovrani effettivamente mantenere inalterato l’esercizio della propria autorità anche in uno spazio dalle caratteristiche così diverse rispetto a quello fisico abituale o, al contrario, alcune modifiche e cambiamenti sono da ritenersi indispensabili al fine della salvaguardia del concetto di sovranità? Ergo, è la sovranità nazionale a doversi adattare al cyberspazio o, piuttosto, occorre intervenire attivamente sul piano digitale affinché esso sia compatibile con le caratteristiche delle autorità nazionali? Questi quesiti hanno condotto ad un acceso dibattito in seno alla comunità scientifica, andato ulteriormente accentuandosi e crescendo di importanza negli ultimi decenni. Alcuni studiosi mettono in evidenza una incompatibilità sostanziale tra la concezione tradizionale di sovranità e lo spazio virtuale e, dunque, come l’idea di raggiungere una sovranità di tipo digitale sia di fatto una contraddizione, suggerendo che «the rise of cyberspace may affect the institution known as the state, in both reality and theoretical perception» (Thrachtman 1998, 562). In quest’ottica, le motivazioni che portano a sostenere l’impossibilità di un incontro tra governance e spazio cibernetico sono riassumibili in tre punti principali:

1) La prerogativa degli Stati nazionali di porre determinate norme nei propri territori e di creare precise infrastrutture che vigilino e regolamentino la giurisdizione statale va per definizione a scontrarsi con lo spazio di Internet, «which rests on the concept of unrestricted interconnectivity».

2) Vi è una contraddizione intrinseca fra i diritti umani e l’idea di istituire forme di sovranità digitale. Di fatti, lì dove Internet è il luogo del libero scambio di pensiero e di parola e in cui le informazioni possono fluire liberamente per essere fruibili da chiunque, è da sempre nota la tendenza delle governance al porre dei limiti alla trasparenza, decidendo quali informazioni possano essere di pubblico dominio e quali, al contrario, vadano secretate ai fini della sicurezza nazionale.

3) Infine, in molti ritengono che l’attuale natura multipartitica dei governi verrebbe fortemente messa in crisi dal potenziale raggiungimento di una forma di sovranità informatica di tipo governativo, essendo il cyberspazio un unico e vasto territorio virtuale nel quale tutte le microaree sono collegate tra loro (Yeli 2017, 109).

Seguendo tale schema, il tentativo di adattare il tradizionale concetto di sovranità al mondo digitale risulta alquanto controverso. In via sostanziale, il concetto di autorità nazionale possiede caratteristiche che, per definizione, sono inapplicabili nel cyberspace. La sua natura fluida e priva di barriere trascende i confini nazionali presenti nel mondo fisico e si traduce in uno spazio fluido nel quale nessuna informazione è esclusiva, nulla è controllabile e dove persino l’autorità e le sue funzioni sono messe in discussione:

The Internet was supposed to overcome all borders to generate a new networked world, where nations and their Governments would matter less. Civil society would talk to directly to civil society. Foreign Ministries and diplomats would slowly disappear (Riordan 2018, 2).

Dunque, stando al modello tripartitico fornito da Yeli, la componente dell’esclusività è un fattore di estrema importanza nell’esercizio della sovranità tanto quanto lo sono i concetti di ‘territorio’ e ‘autorità’. In questa prospettiva, il superamento della contraddizione tra ambiente virtuale e sovranità tradizionale potrebbe avvenire solo allorquando le singole identità nazionali accettino di rinunciare alla componente esclusiva in tema di controllo nell’era della globalizzazione digitale: «each State should carefully determine and decide what elements of sovereignty it must retain and what can be transferred, and to what extent»(Yeli 2017, 112). In estrema sintesi, il cyberspace viene qui individuato come una nuova realtà ineluttabile, che l’idea di sovranità non può semplicemente accettare, ma cui deve piuttosto adattarsi al fine di preservare se stessa, vivendo oggi «in one world, in one cyberspace» (Ivi, 114).

Gli equilibri di potenza nell’era del cyberspazio: USA e Cina

Altri autori, invece, ipotizzano che i tradizionali paradigmi geopolitici siano applicabili anche all’idea di sovranità digitale, essendo il cyberspazio una realtà in continuo mutamento che, spinto dall’intervento degli attori politici, stia acquisendo sempre più caratteristiche in comune con lo spazio fisico. In quest’ottica, «the Cyber security policy can be deemed as a Public Policy, being a network of decisions and actions resulting from articulated procedures and process of decision-making adopted by the national governments, in order to safeguard the value of security in Cyber Space» (Amoretti, Fracchiolla 2018, 3).

Lo spazio virtuale diviene così un’estensione avanzata, più evoluta, della dimensione esistenziale dei singoli governi, un nuovo territorio nel quale misurare gli equilibri di potenza e in cui protrarre le relazioni internazionali esistenti. Altresì, «the debate over sovereignty in cyberspace is not a purely theoretical one. It is also a reflection of power struggles over internet governance amongst the world’s major rival military powers » (Mueller 2019, 8). A tal proposito, è interessante notare come quell’assenza di barriere nel web che sul piano concettuale si evidenzia come un potenziale ostacolo all’esercizio dell’autorità da parte degli Stati sovrani, al contrario, sul piano pratico delle relazioni internazionali, esso diviene un utile strumento ad appannaggio degli stessi:

cyberspace greatly expands opportunities for States to violate the independence and exclusivity traditionally attendant to sovereignty. […], cyberspace presents States unprecedent access to information and objects on the territory of other States. Cyberspace frees States from many of the geographic and physical restraints that might have previously prevented access (Watts, Richard 2018, 807-808).

Al contempo, la scoperta dello spazio virtuale ha anche definito una nuova fonte di minacce dall’esterno, ponendo l’accento su quanto sia importante riuscire a difendersi efficacemente da cyber-attacchi volti all’acquisizione di conoscenze e informazioni di importanza nazionale. Di fatti, Internet si differenzia considerevolmente rispetto alle precedenti tecnologie di informazione, data la sua capacità di combinare l’assenza di barriere fisiche ad altrettanto basse barriere d’ingresso nella rete: chiunque sia munito di un laptop e di una connessione dati può accedere al cyberspazio e fruire delle informazioni in esso contenute. In quest’ottica, come individuato da Perritt, il fenomeno di Internet pone una minaccia al concetto stesso di sovranità, minando le tre storiche funzioni dello Stato, ovvero «providing national security, regulating economic activities, and protecting and promoting civic and moral values»(Perritt 1998, 427).

Gruppi di terroristi, estremisti politici e sostenitori dei diritti umani utilizzano gli strumenti forniti dal web al fine di dare voce alle proprie cause, rafforzandole spesso in prospettiva d’attacco, incrementando altresì la minaccia alla sicurezza nazionale: «A terrorist group no longer has to hijack an airliner in order to attract television coverage to publicize its cause. Now it can simply plug in and disseminate its message in cyberspace» (Ivi, 428).

Per contrastare queste intrusioni e respingere attacchi informatici potenzialmente pericolosi per la salvaguardia nazionale, la maggior parte degli Stati ha istituito infrastrutture (finanziate sia pubblicamente che privatamente) al fine di tenere sotto controllo il web, i suoi meccanismi e, altresì, provvede sistematicamente ad aggiornare e rafforzare la propria efficienza in tema di cyber security:

Obtaining knowledge of a national security value can create an existential threat by allowing potential adversaries to gain the knowledge to develop effective countermeasures to a nation’s advanced military and other defences. In addition, cyber-attacks that degrade the ability to command and control national security assets and attacks that disrupt critical infrastructure have direct implications to national security (Hare 2011, 91).

Gli Stati Uniti sono sicuramente tra i cyber-actors più all’avanguardia in tal senso. Lo stesso cyberspazio è, di fatto, un’invenzione americana e l’egemonia statunitense in quest’ambito è per molti versi più eclatante rispetto a quella che ha mai detenuto nello spazio fisico. Dopotutto, l’unipolarità in chiave americana dopo la fine della Guerra Fredda è avvenuta in un mondo dalle fattezze e dalle dinamiche quantomai europee, dopo secoli di conflitti, invenzioni e rivoluzioni che l’America, a conti fatti, non aveva mai conosciuto. Il cyberspazio, al contrario, è un qualcosa di originariamente più americano, nato come sistema di comunicazione e di controllo militare e ceduto in seguito al resto del mondo, ha incarnato in esso immagini e valori simbolo del nuovo continente: libertario, privo di gerarchie, restio all’ufficialità e dalla marcata tendenza imprenditoriale.

In terms of geopolitical conditions, the US experienced the Internet and Cyberspace as something it both created and owned. It gifted its creation to the rest of the world as an act of generosity from the global hegemon, and expected gratitude in return. It expected the world to accept the governance and operating rules of the Internet as part of the gift, and was surprised and resentful to the extent that these were challenged (Riordan 2018, 36).

Gli USA sono stati tra le prime nazioni ad essersi dotate di organi volti a proteggere il Paese dagli attacchi provenienti dallo spazio virtuale, quali la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), il National Institute of Technology (NIST) e la National Security Agency and Defense Information Systems Agency. Tuttavia, nonostante la posizione predominante nello sviluppo di sistemi e tecniche di sicurezza informatica, gli Stati Uniti non sono risultati immuni da cyber-attacchi. Già durante le elezioni presidenziali del 2016 furono scoperti significativi tentativi di hackeraggio ai danni degli USA e la US National Cyber Strategy del 2018 ha portato evidenze di come, negli anni più recenti, l’America fosse stata il target di cyber attacchi da parte di Iran, Korea del Nord e Russia, nonché obiettivo di spionaggio industriale su larga scala da parte del governo cinese(Romaniuk, Manjikian 2021, 465).A tal proposito, proprio i frequenti attacchi informatici subiti dagli U.S.A. nell’ultimo anno, come il caso SolarWinds e l’attacco all’oleodotto Colonial Pipeline, hanno spinto il Presidente Biden ad emanare direttive e ordini esecutivi volti a rafforzare la sicurezza informatica statunitense, perfezionando altresì la capacità di risposta delle agenzie governative preposte a tale scopo (Santarelli, 2021).

Diversamente dagli Stati Uniti, il ruolo della Cina nel cyberspazio è stato per lungo tempo considerato marginale, per certi aspetti simile all’esperienza Russa, in cui l’avvento di Internet è stato guardato con sospetto o, finanche, come una possibile minaccia all’egemonia del partito unico. Tuttavia, nell’ultimo decennio, anch’essa ha acquisito sempre maggiore importanza sul piano informatico, di pari passo con il suo affermarsi tra i principali competitor economici per le altre superpotenze:

The modus operandi of China’s intelligence agencies in respect of foreign collection has evolved from one of great caution and risk aversion to one of greater operational self-confidence commensurate with China’s rising status and influence in the world (Lindsay, Cheung, Reveron 2015, 341).

A riprova della crescente attenzione rivolta dalla Cina al tema della rivoluzione digitale, tanto i leader di Stato quanto i dipartimenti di governo cinese, nel corso degli anni, hanno fatto diverse dichiarazioni in merito. Il Presidente Xi Jinping ha chiarito in più occasioni l’intenzione cinese di giocare un ruolo di primo piano nel cyberspace,

including putting forward a series of standpoints and ideas of jointly governing cyberspace from the perspective of jointly building a community of common future in cyberspace by nations around the world, and putting forward a series of significant thoughts and measures from perspectives of building cyber power in China and ensuring the cyberspace security and cyberspace sovereignty (Fang 2018, 171).

Seguendo le dichiarazioni del Presidente, anche l’ambasciatore cinese Liu Xiaoming si è espresso sulla questione della sovranità all’interno del cyberspazio, ritenendo fondamentale che il concetto di sovereign equalityespresso nella Carta delle Nazioni Unite sia da applicare anche nell’ambiente digitale e ponendo altresì enfasi sul fatto che «no country should interfere in others’ international affairs, nor engage in cyber activities that undermine the national security of others»(Ayers 2017, 55).

Tuttavia, a discapito delle dichiarazioni riportate, la Cina ha altresì dimostrato di non essere affatto restia all’utilizzo della propria conoscenza e destrezza nel cyberspazio al fine di interferire con la sovranità digitale di altri Stati. Sono infatti numerosi i report (soprattutto statunitensi) che hanno fornito prove di attività di cyber-spionaggio da parte del governo cinese:

A U.S. report by the Mandiant Corporation published units, military affiliations, and faces associated with China’s cyber espionage activities, putting to rest the thought that China was worried about the cyber sovereignty of others. It has interfered in other nation’s cyber sovereignty on multiple occasions and that of its citizens as well (Ivi, 56).

Preoccupata dell’evidente differenza di dotazione in campo cibernetico rispetto agli Stati Uniti, le operazioni cinesi si sono orientate principalmente verso l’acquisizione di informazioni e nuove conoscenze. In tal senso, il furto di proprietà intellettuale e di dati sensibili ha probabilmente contribuito in maniera considerevole nel ridurre l’iniziale gap tecnologico rispetto all’Occidente, permettendo alla Cina di divenire un leader mondiale nella produzione di apparati high-tech, intelligenza artificiale e tecnologia militare.

Così, il cyber-spionaggio rappresenta solo uno degli innumerevoli strumenti che lo spazio cibernetico mette a disposizione dei singoli Stati per poter proseguire, in una sorta di upgrade digitale, quelle pratiche di concorrenza internazionale già presenti nello spazio fisico, definendo altresì una nuova dimensione esistenziale delle conflittualità tra Stati da sempre esistenti.

Conclusioni

Il processo di globalizzazione digitale attualmente in corso sta ponendo, come individuato, importanti sfide all’idea di sovranità nazionale per come è stata finora concepita. Dall’analisi effettuata, è evidente come la presenza di spazi fisici geograficamente e giuridicamente definiti abbia avuto un ruolo fondamentale nell’istituire i meccanismi per mezzo dei quali i singoli Stati possono esercitare le loro funzioni e la propria autorità e, in tal senso, il dibattito scientifico circa l’effettiva possibilità di adattare le tradizionali riflessioni sul concetto di sovranità all’interno del cyberspace lascia spazio ad interpretazioni di vario tipo.

Se, da un punto di vista concettuale, governance nazionale e spazio digitale risultano per definizione incompatibili tra loro, la stessa nozione di ‘geografia politica’ diviene quantomai obsoleta, se non fallace, considerando l’inesistenza di barriere all’interno dello spazio virtuale. Tuttavia, appare inevitabile, per gli Stati sovrani, scendere a patti con questa nuova dimensione, riconoscendole il ruolo di nuovo ambito nel quale confluiscono le relazioni e la competizione di carattere internazionale. Se, da un lato, il cyberspazio rappresenta un mondo non territoriale, fluido e reticente all’essere assoggettato ai meccanismi di sovranità nazionale tradizionalmente intesi, lo stesso non si può dire della dimensione più pratica delle relazioni internazionali e degli equilibri di potenza tra nazioni. In quest’ottica, al contrario, l’ambiente virtuale viene a rappresentare uno spazio nuovo e dalle possibilità sterminate verso il quale dirigere politiche distensive e tendenze egemoniche, tanto che le politiche e le pianificazioni dei singoli Stati sono costantemente in tensione rispetto alla possibilità di un aumento dei cyber-attacchi come strumento politico. Al contempo, ognuno di essi si cimenta regolarmente in operazioni digitali in chiave ostile verso le proprie controparti, caratterizzando il cyberspazio come mera estensione o evoluzione dello spazio fisico, anch’esso potenziale terreno per operazioni militari disturbanti o, finanche, distruttive. Ogni Paese ha la propria possibilità di attaccare e la individuale esigenza di difendersi, purché efficacemente dotato sul piano informatico, facendo sì che a mutare sia la stessa struttura del potere, non più prettamente piramidale ma, piuttosto e similarmente all’architettura del web, che comincia anch’essa ad assumere fattezze reticolari.

In quest’ottica, il cyberspazio si pone in una duplice prospettiva. Da un lato, esso ha un ruolo “civile”, ponendosi come mero mezzo tecnologico che sviluppa e facilita le relazioni umane e dove gli utenti possono transitare usufruendo di istantanei collegamenti planetari. Dall’altro esso, per via delle sue potenzialità pressocché illimitate, pone costantemente minacce alla sicurezza nazionale dei singoli Stati divenendo, «dopo terra, mare, aria e spazio extra-atmosferico, […] quinta dimensione della conflittualità» (Martino 2018, 61).

Bibliografia e sitografia

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